Infine la Madonna di Foligno di Raffaello ha lasciato Milano. Il capolavoro rinascimentale proveniente dai Musei Vaticani – del quale anche noi abbiamo diffusamente parlato su queste pagine – è stato visitato in queste settimane da migliaia di persone, centinaia ogni giorno, pazientemente in coda davanti a Palazzo Marino in piazza della Scala. Un successo che ha confermato la validità di un appuntamento culturale fra i più attesi dell’anno, dovuto alla qualità altissima delle opere presentate (nelle scorse edizioni i protagonisti erano stati Caravaggio, Leonardo, Tiziano, La Tour e Canova), alle spiegazioni offerte ai visitatori e, non ultimo, all’ingresso gratuito alla mostra.
L’esposizione straordinaria di splendide opere d’arte, è evidente, va incontro a un diffuso desiderio di bellezza, con una formula immediatamente fruibile e facilmente comprensibile non solo ai “cultori” ma anche al cosiddetto “grande pubblico”. Il che è certamente meritevole. Quel che lascia perplessi, tuttavia, è constatare come il medesimo entusiasmo non si verifichi per altri, simili capolavori conservati in permanenza nelle collezioni cittadine o in varie sedi presenti sul nostro territorio. Che non hanno forse il richiamo spettacolare, seppur effimero, dell’“evento”, ma che costituiscono un patrimonio straordinario a disposizione di tutti, tutto l’anno. Da conoscere e riscoprire, paradossalmente, proprio da chi li ha in “casa”…
Il cartone della Scuola di Atene all’Ambrosiana
Per limitarci a Raffaello Sanzio, e alla sua “presenza” a Milano e dintorni, non si può non ricordare innanzitutto quell’opera eccezionale sotto ogni punto di vista che è il grande cartone per la Scuola di Atene, custodito presso la Pinacoteca Ambrosiana. Si tratta, appunto, del disegno preparatorio che l’Urbinate predispose per il celebre affresco della Stanza della Segnatura nel Palazzo Apostolico, attorno al 1510 (cioè in contemporanea con la stessa Madonna di Foligno). Papa Giulio II, infatti, ammirato dalla bravura del giovane pittore, volle commissionargli l’intera decorazione dei suoi appartamenti in Vaticano, a costo di licenziare artisti già affermati, e già all’opera, come il Perugino, il Sodoma, Luca Signorelli, Lorenzo Lotto.
Un documento prezioso e rarissimo, unico persino, considerando anche la fragilità del materiale, per comprendere il percorso creativo di Raffaello. Il disegno, assai curato nei dettagli ed eseguito a carboncino con lumeggiature in biacca, fu evidentemente realizzato per essere sottoposto all’approvazione del committente – Giuliano Della Rovere, com’è noto, era piuttosto esigente e decisamente autoritario – e venne poi utilizzato per trarne una seconda serie di cartoni più piccoli da applicare direttamente sull’intonaco della parete (come rivelano i contorni delle figure, forati per lo spolvero).
Il cardinale Federico Borromeo, ideatore e fondatore non solo della Biblioteca e della Pinacoteca, ma anche di quell’Accademia Ambrosiana dove gli artisti si formavano al gusto del bello e del vero secondo i dettami del Concilio di Trento, intuì subito l’importanza storica e artistica di questo cartone quale modello di “riferimento”, ottenendolo prima in prestito dal suo legittimo possessore, Fabio II Visconti Borromeo, e poi acquistandolo a caro prezzo – 600 lire imperiali – dagli eredi dello stesso, nel 1626. Una valutazione evidentemente condivisa dagli stessi commissari napoleonici, che requisirono il disegno per il Louvre, insieme ad altri tesori dell’Ambrosiana, dove rimase fino al 1815, prima di essere restituito ai milanesi.
L’Estasi di santa Cecilia, una copia a Bresso
Nell’Accademia voluta dal cardinale Federico, infatti, gli allievi erano invitati ad ispirarsi ai grandi capolavori del Rinascimento. Ecco allora che una pregevolissima copia di una delle opere più belle e famose dello stesso Raffaello, l’Estasi di santa Cecilia (oggi conservata nella Pinacoteca Nazionale di Bologna), potrebbe essere stata realizzata proprio nell’ambito dell’Accademia borromaica per arrivare, agli inizi del secolo scorso, nella chiesa prepositurale dei Santi Nazaro e Celso a Bresso, in prestito dalla Pinacoteca di Brera. Un’opera pressoché inedita, ma capace di restituire tutta la cromia e la qualità pittorica dell’originale, e che probabilmente sarà oggetto di una prossima mostra dedicata al Sanzio a Roma.
Lo Sposalizio della Vergine a Brera
A Brera, del resto, vi è un altro capolavoro assoluto di Raffaello, quello Sposalizio della Vergine che è certamente tra i dipinti più famosi al mondo. Firmata e datata al 1504, la pala rivela ancora la formazione del pittore urbinate – appena ventenne – sui dolci modelli del Perugino, ma evidenzia già una conoscenza della “maniera” di Leonardo, conosciuta direttamente a Firenze, o indirettamente a Roma tramite Filippino Lippi.
Il Crocifisso del Poldi Pezzoli
Un lavoro giovanile che, sempre a Milano, è tuttavia anticipato dall’incantevole Crocifisso del Museo Poldi Pezzoli, che la critica assegna all’ultimissimo scorcio del XV secolo, identificandolo così come la più antica opera di Raffaello giunta fino a noi.