«La storia non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro. Al di qua e al di là della frontiera – il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione Europea – sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace».
Assumono un valore ancora più alto e particolare le parole pronunciate a Trieste dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro con il presidente della Slovenia Borut Pahor: espressioni non scontate soprattutto in questa parte d’Europa, nei luoghi dove le ideologie ancora oggi utilizzano troppo frequentemente le sofferenze patite da migliaia di uomini e di donne per il proprio interesse.
La memoria può produrre frutti solo quando non viene utilizzata come una gabbia. L’avanzare mano nella mano dei presidenti Mattarella e Pahor verso la storia (alla Foiba di Basovizza e al monumento ai caduti sloveni) è la rappresentazione simbolica ed eloquente del cammino compiuto negli ultimi 70 anni dalle genti di queste terre: c’è stato il tempo del rancore, della paura, della diffidenza ma poi, passo dopo passo, si è scoperto che procedere insieme ristabiliva quel legame che l’idiozia degli uomini aveva solo momentaneamente interrotto. Un gesto che diveniva, per di più, un atto dovuto, un obbligo per istituzioni che sanno come tutto ciò risulti fondamentale per costruire un futuro diverso e migliore per le nuove generazioni.
Giungere a una memoria condivisa delle vicende che hanno interessato il confine orientale del nostro Paese alla fine del secondo conflitto mondiale rimarrà ancora a lungo (o probabilmente per sempre) un’utopia. Forse è maturato veramente il tempo per una memoria reciprocamente “donata”.