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La questione femminile centrale nella Milano di oggi

Alla Fondazione Ambrosianeum, con il saluto dell'Arcivescovo, la presentazione del Rapporto sulla Città 2020, la cui XXX edizione ha allargato attenzione e contenuti agli effetti della pandemia

di Pino NARDI

17 Luglio 2020

«Milano è una città per molti versi più women-friendly, più amichevole di altre verso le donne. Eppure la questione femminile resta centrale». Da questa constatazione avevano preso il via i lavori per il Rapporto sulla Città 2020, travolto poi in pieno, «nella fase più delicata di elaborazione» dalla pandemia. La questione femminile è dunque al centro della trentesima edizione, che ha però dovuto fare i conti nella sua realizzazione e nella lettura della realtà con lo tsunami del coronavirus che si è abbattuto in particolare in una metropoli come Milano.

Opportune politiche di Welfare a favore delle donne

«La salute, il pane e le rose», è il titolo del Rapporto 2020 presentato lunedì 13 luglio nella sede milanese della Fondazione Ambrosianeum. Al dibattito è intervenuta la senatrice a vita Elena Cattaneo, docente di farmacologia alla Statale e prestigiosa ricercatrice: «È necessario lavorare di più nel rapporto tra città e università», ha detto, sottolineando il ruolo delle donne anche nei settori più delicati della ricerca scientifica. Secondo la senatrice le quote rosa previste per i vertici delle aziende quotate sono «uno strumento per attenuare le disparità, ma è solo un punto di partenza che va accompagnato con opportune politiche di Welfare a favore delle donne, che non devono essere costrette a scegliere tra costruirsi una famiglia o optare per la propria carriera».

Milano è donna, è madre

Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, ha sottolineato come «Milano è donna, è madre, che sa valorizzare le diversità, che accoglie e integra, dove il capitalismo del futuro e l’impresa devono sviluppare una cultura del mercato con il senso del linite, della inclusione, attenta alla dimensione della solidarietà».

Delpini: «Contrastare la tendenza a leggere la pandemia come un mostro onnivoro»

Ha portato il suo saluto anche l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, esprimendo «apprezzamento e gratitudine per questo lavoro svolto dall’Ambrosianeum in condizioni complicate e inedite». «È necessario contrastare la tendenza a leggere la pandemia come un mostro onnivoro che tutto ingloba. Certo è un problema serio, ma non si devono perderne di vista altri oggi dimenticati (disuguaglianze, pace, guerra, questione femminile…). Il virus ha fatto molto male alla salute, ma rischia di farne anche alla nostra visione del mondo».

Si fa cultura in ogni momento, con piccoli gesti

Dalle ricorrenze mancate a causa del Covid alla consapevolezza sullo stato della sanità lombarda indotto dall’epidemia, dallo tsunami che ha travolto il Rapporto in fase di realizzazione alle “ferite dell’anima” conseguenza del trauma da lockdown, per approdare alla cultura come luogo privilegiato per rifondare le ragioni della vita e rilanciare prospettive di senso. Questi gli argomenti affrontati nella presentazione del Rapporto dal presidente dell’Ambrosianeum, Marco Garzonio, che propone un esame puntuale del concetto di cultura intesa come «cura della polis», fondata sulla valorizzazione di concetti imprescindibili quali «l’essere donna, donna senza dover dimostrare niente»; «l’essere uomo, uomo che si realizza per quello che ci mette lui di suo»; «le età della vita», «la prossimità»; «gli stili di vita»; «la memoria». «Si fa cultura, insomma – scrive Garzonio – corrispondendo a una visione complessiva del Creato, con la consapevolezza che la si fa in ogni momento, con piccoli gesti che diventano grandi se sono esempi di comportamenti virtuosi».

«Fare cultura – aggiunge – genera nella comunità consapevolezza, coscienza critica, mentalità, vigilanza, responsabilità, cittadinanza attiva; è la cultura che offre il nutrimento necessario per andare avanti, le fornisce ragioni e prospettive, ne alimenta immaginazione e sogni». Sulla scia di papa Francesco, Garzonio insiste sul fatto che «non ci si salva da soli», convinto che il «Covid-19 abbia contribuito a far emergere l’esigenza diffusa di un po’ di “riumanizzazione” e di rimettere la persona al centro».

La ricetta sta quindi nel «trasformare il cuore», secondo gli ammonimenti di Giuseppe Lazzati. «Oggi fa senz’altro meno freddo rispetto ad allora, e sono passati più di 70 anni dalla Ricostruzione post-bellica, ma buio ce n’è ancora: e tanto – prosegue Garzonio -. Ma credo ci sia anche altrettanta buona cultura per riedificare l’uomo, la socialità, la prossimità post-Codiv-19, e che tale istinto a rimediare al grande trauma resta fondamento di ogni ricostruzione. E di questo istinto le donne si fanno portatrici per prime. Il Rapporto sulla città di questo 2020 da ricordare ha al centro le donne: sono loro che portano vita, bellezza, amore, voglia di futuro – conclude Garzonio – Se ne fanno carico anche per gli uomini, quando ce n’è bisogno. E lo fanno bene».

Le condizioni di vita e di lavoro delle donne a Milano

L’introduzione al Rapporto è firmata dalla curatrice, Rosangela Lodigiani, sociologa dell’Università cattolica di Milano. «Stare dentro la transizione – come dentro al dolore, ci insegna la psicologia – è la via della resilienza che accompagna alla rinascita», scrive. Per il Rapporto sulla città ha significato mettere «in dialogo quanto stavamo scrivendo con quanto stava accadendo. Abbiamo approfondito alcuni aspetti delle condizioni di vita e di lavoro delle donne a Milano, i miglioramenti registrati negli ultimi anni e le diseguaglianze ancora presenti, le forme di fragilità e i protagonismi. Nell’impatto con l’attuale crisi tale contributo emerge vivido e al tempo stesso esposto a pericolose involuzioni».

A partire dall’“inverno demografico”, con il dato delle famiglie unipersonali arrivate a rappresentare il 52,4% del totale, e l’aumento dei nuclei che hanno per capofamiglia una donna. E soprattutto con la consapevolezza che quella demografica è una chiave di lettura indispensabile se integrata con altre che mettano a fuoco le trasformazioni in ambiti diversi, per esempio la salute, il lavoro, la vulnerabilità. Sul fronte Covid, Lodigiani punta l’attenzione sulle esigenze di riorganizzazione della sanità lombarda. Le priorità sono chiare: «Rafforzare la medicina e l’assistenza socioassistenziale e sociosanitaria territoriale, sviluppare le alternative alla presa in carico ospedaliera, ripensare il rapporto tra ospedali e territorio… riformare il sistema delle cure a domicilio, ricucire le reti sociali di prossimità e solidarietà con forme inedite di vicinanza… affinché sia la persona il vero fulcro del sistema della salute».

Se da un lato, l’epidemia ha avuto come risvolto positivo iniziale la presenza maschile in molte famiglie, «dall’altro la chiusura prolungata dei servizi educativi rischia di innescare pericolosi arretramenti», e questo soprattutto con la ripartenza del lavoro. Nonostante la crescita dell’imprenditoria femminile dal 2015 a oggi, i divari tra generi restano importanti: «Analizzando le scelte universitarie delle ragazze milanesi, registrano la loro sottorappresentazione nelle facoltà STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma commentando il dato in modo non scontato: è anche il riflesso della maggiore libertà di scelta delle ragazze rispetto ai ragazzi».

Storie, voci e sguardi raccolti nel Rapporto confermano, insiste Lodigiani, «l’impredicabile singolarità, il fatto cioè di non rientrare in alcun universale» delle donne, le quali rivelano quindi la capacità di «destabilizzare gli equilibri» e di «fare resistenza alle varie forme di idealizzazione omologante». E voci indicative del contributo femminile (ma anche maschile) alla creazione di processi di pace, inclusione e solidarietà, in cui si osserva la piena convivenza tra diverse tradizioni spirituali e religiose e l’orientamento della città di Milano all’accoglienza, all’altro.

Saper cogliere nella crisi l’opportunità per una “rivoluzione culturale”

In conclusione, lo slogan da cui viene il titolo del Rapporto 2020, quel «la salute, il pane e le rose» che evoca, rimaneggiandole, le parole tradizionalmente attribuite all’attivista americana Rose Schneiderman in funzione di sostegno al voto alle donne (ottenuto nel 1917 nello Stato di New York). «Le donne ci insegnano che è legittimo aspirare a tutto: “la salute, il pane e le rose”, che la speranza è possibile – scrive Lodigiani -. A patto di saper cogliere nella crisi l’opportunità per una “rivoluzione culturale”, ripensare le forme dell’organizzazione sociale ed economica, riscrivere la grammatica delle relazioni, dei tempi e degli spazi urbani, valorizzando le differenze e contrastando ogni discriminazione e ingiusta disparità. È una speranza quotidiana, non urlata… non la si nota nemmeno, eppure è capace di trascinare tutti, vede e ama quello che sarà, va avanti senza risparmiare i passi».

 

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