La copertina e uno speciale di otto pagine per rendere omaggio a Enzo Jannacci, artista poliedrico e “fantasista”, ma anche espressione della Milano capace di guardare ai marginali con umanità, e in quanto tale padre “battezzatore” della rivista.
Così il numero di maggio di Scarp de’ tenis – giornale di strada che ha preso il nome da una delle più note canzoni di Jannacci ed è promosso da Caritas Ambrosiana e Caritas Italiana, presente con le sue redazioni in 13 città italiane (oltre che a Milano, anche a Como, Bergamo, Torino, Genova, Verona, Vicenza, Modena, Rimini, Firenze, Napoli, Salerno e Catania) – ha voluto salutare l’artista scomparso a fine marzo, sottolineandone in particolare la vocazione di generoso amico dei periferici e dei perdenti.
L’omaggio di Scarp non si limita alle parole. La rivista ha infatti chiesto ad alcuni importanti fumettisti italiani – grazie all’aiuto di Davide Barzi (scrittore, sceneggiatore, giornalista e storico del fumetto, già autore di “G&G”, romanzo a fumetti dedicato a Giorgio Gaber) e di Sandro Patè (amico personale e autore di una documentata ricerca sul cantautore) – di realizzare una galleria di ritratti di Enzo Jannacci, aperta da una ricca copertina (firmata Sergio Gerasi, disegnatore, tra gli altri, di Dylan Dog) che illustra il mondo degli antieroi metropolitani e di periferia, che Jannacci ha saputo raccontare ed aiutare. Prestando servizio medico gratuito, o pagando cene o stanze di albergo a chi, abitualmente, dormiva sotto a un mucc de cartun, come è accaduto tante volte.
La galleria di ritratti pubblicata sul numero di maggio di Scarp è stata realizzata dalle matite di Stefano Casini, Marilena Nardi, Graziano Origa, Vito Potenza, Tiziano Riverso, Grazia Sacchi e Will, e anticipa un articolato percorso di memoria e rilettura delle opere di Jannacci, che – attraverso vari linguaggi e diverse iniziative – si svilupperà nel prossimo autunno.
A Scarp, già da ora, piace ricordare Jannacci tramite il brano di un’intervista rilasciata al giornale nel 1996, indice della sua preoccupazione di alimentare una cultura diffusa della tolleranza, della solidarietà e dell’accoglienza: «Non si può dire, bisogna fare. Bisogna cambiare i cittadini italiani, insegnare l’educazione nelle scuole elementari. Bisogna cambiare l’Italia, innescare un meccanismo di cambiamento sul lungo periodo. Cambiare gli italiani vuol dire cambiare i giovanissimi, mandarli in una scuola dove ci siano maestri e maestre preparati, con attitudini psicologiche specifiche, per far capire il rispetto per gli altri. Allora non ci sarà più solo il rispetto per il fratello maggiore. C’è il rispetto per tutti, perché qualcuno ti ha insegnato l’altruismo».