«La crisi si fa sentire, ma secondo i dati di vendita delle librerie cattoliche dal 2011 a oggi, il mercato dell’editoria religiosa tiene meglio di quello generalista. Con l’eccezione della Lombardia, che segue un trend paragonabile a quello del mercato generico, probabilmente per la presenza di una grande metropoli, dove la recessione morde di più». A parlare è Giorgio Raccis, presidente del Consorzio Editoria Cattolica (Cec), fermo sostenitore dell’importanza delle librerie cattoliche, in primis per la loro insostituibile opera di supporto all’attività pastorale: «Soprattutto in provincia – osserva Raccis -, quando chiude la libreria cattolica, il cliente rimane senza alternative».
È d’accordo anche Enzo Pagani, vicepresidente dell’Unione editori e librai cattolici (Uelci): «Per formare una coscienza cristianamente orientata ci vuole tempo e il libro favorisce questo processo, attraverso un lavoro lento, ma ad ampio raggio. Se sparisce la libreria cattolica, questa funzione viene messa in pericolo. Si è visto che, quando chiude un punto-vendita religioso, il relativo fatturato non viene assorbito dalle altre librerie cattoliche sul territorio e nemmeno dal mercato on line, ancora immaturo. Semplicemente, quel fatturato va perso». Da qui la preoccupazione degli editori cattolici: «Hanno capito che la crisi è anche editoriale, non solo commerciale».
Come sostenere l’operato delle librerie cattoliche? Una strada possibile, secondo Raccis, è quella dello svecchiamento, peraltro già avviato: «Ormai da tempo le librerie religiose non sono più “monoprodotto”, ma si sono aperte all’editoria “varia” e all’oggettistica. Il nostro cliente, compreso quello per eccellenza, il sacerdote, vuole acquistare in una sola volta tutto quello che gli serve, dal sussidio per il catechismo all’ultimo saggio di Alan Friedman».
Altro elemento cruciale è la cura della professionalità del personale. In Italia il grosso delle librerie cattoliche appartiene alle grandi catene (Ancora, Elledici, Paoline, San Paolo…), ma ci sono anche circa 200 librerie indipendenti, gestite da librai spesso autodidatti: «Soprattutto in questi casi – nota Raccis – c’è un limitato utilizzo degli strumenti tecnologici che consentono di gestire in maniera più oggettiva alcuni aspetti, dal magazzino al controllo delle vendite. In alcune librerie giacciono libri invenduti da anni».
Secondo Pagani, sarebbe utile anche un tavolo di confronto tra i diversi soggetti dell’editoria religiosa: «Serve un’analisi secondo criteri più ampi di quelli del singolo libraio, in un’ottica di razionalizzazione e redistribuzione territoriale dell’offerta. Una libreria è in difficoltà? Chiudiamola, ma rafforziamo quella vicina, anche attraverso l’assorbimento del personale rimasto senza lavoro. Mi rendo conto che si tratta di un progetto po’ utopistico, ma lasciar fare al mercato è molto pericoloso».