Cosa ci fa un frigorifero nel bel mezzo della sala principale del Museo dei Cappuccini di Milano, fra pregiati dipinti e libri antichi? Un errore di “collocazione”? Impossibile. Una “provocazione”? Già, più probabile. Un invito a ristorarsi con qualche cosa di fresco nella calura estiva? Ecco, forse ci siamo. Ma a ristorare lo spirito e la mente, simbolicamente, prima ancora che la gola…
Un progetto efficace, visionario, divertente persino. Che, nel confronto con i temi di Expo 2015, è stato sviluppato da oltre trenta artisti – in parte già affermati, in parte giovanissimi -, partendo dall’Accademia di Brera e coinvolgendo anche l’Arcidiocesi di Milano e il Patriarcato di Venezia, in una sorta di ponte artistico che fino al prossimo mese di ottobre collegherà il capoluogo lombardo e la Laguna veneta.
A.R.T. – acronimo giocoso per <Advanced Refrigeration Technology> – è il titolo di questa nuova proposta espositiva, ideata da Andrea Del Guercio (coordinatore del Dipartimento di arti e antropologia del sacro presso l’Accademia braidense a Milano), dove proprio il frigorifero, appunto, da anonimo elettrodomestico casalingo si trasforma in un’icona figurativa del nutrimento e della conservazione. Di quel cibo per l’anima, innanzitutto, che è l’arte.
Due gli “apparati refrigeranti” artisticamente rielaborati, oggi inseriti nella sede di via Kramer. Quello di Luca Ovani, classe 1995, giocato sulla metafora dell’acqua, di fonte e benedetta, indispensabile per la sopravvivenza fisica come per la vita spirituale. E quello di Gianmaria Milani, anch’egli appena ventenne, che attraverso i diversi scomparti del macchinario “ripercorre” l’evoluzione dell’uomo (nel senso di ascesa interiore) e il suo tentativo di governare le forze della natura.
Installazioni, dunque, che dialogano con le preziose opere conservate nel museo milanese dei frati cappuccini, e che diventano, quindi, quasi un pretesto per una sua ulteriore riscoperta. A cominciare, magari, da quello stesso San Francesco con le stimmate che si ritrova come una sorta di pendant di uno degli artistici e “provocatori” frigoriferi. Il dipinto, un tempo attribuito a Camillo Procaccini (ma oggi si è di diverso avviso), è uno smagliante lavoro della prima età borromaica, transitato da alcuni importanti conventi cappuccini lombardi (da quello di Monforte a Milano fino a quello di Lenno sul Lago di Como), e con ancora l’effige, in basso a destra, del devoto committente (con tanto di gorgiera alla spagnola).
Un rivolo d’acqua, le fronde degli alberi, il muschio sulla parete rocciosa, uno squarcio di cielo azzurro: attenta, e perfino commovente, è in questa tela la collocazione del Poverello d’Assisi nell’ambiente naturale, a evocare, al di là dell’eremo della Verna dove il Santo ricevette le stimmate, quello stesso Creato che Francesco ha cantato, ringraziando il Creatore: «Laudato si’», come oggi papa Bergoglio intitola la sua nuova enciclica “sulla cura della casa comune”.
E allora il nostro sguardo, proprio in questi spazi museali, può trovare nuova emozione e nuova meraviglia, soffermandosi su opere intimamente “francescane”, nello spirito e nella sostanza, anche se non espressamente a tema sacro.
Come nel quadro in cui Angelo Morbelli, ad esempio, ritrae il giardino della sua casa a Colma di Rosignano, nel Monferrato (siamo nel 1911), con tale meticolosa attenzione del dato reale da voler suggerire un Altrove, aprendo uno squarcio sull’Infinito.
O ancora come nell’Aratura di Ugo Gheduzzi (1920 circa), dove un uomo e una donna, novelli Adamo ed Eva esiliati dall’Eden, si conquistano il pane quotidiano con il duro lavoro nei campi, in una terra, però, che non è mai matrigna e che svela, ogni giorno, una sua segreta bellezza…
Quel pane, ancora, da condividere e spezzare insieme. Sulla tavola domestica e attorno alla mensa del Signore. Come mostra un ulteriore dipinto, quello tardo secentesco della bottega del Cifrondi, che illustra l’opera di misericordia che esorta a dare da mangiare agli affamati, con Gesù che emerge fra i poveri, tra le mani alzate di chi chiede e le mani protese di chi offre. E come accade ogni giorno esattamente dall’altra parte del Museo, in via Piave, alla mensa aperta dai frati cappuccini.
Perché davvero, qui, l’arte nutre lo spirito e il corpo.
Fino al 29 ottobre 2015, il Museo dei Cappuccini a Milano (in via Kramer, 5) è aperto il martedì dalle 14.30 alle 18.30 e il mercoledì e il giovedì dalle 14.30 alle 17.30. L’entrata è gratuita, ma i visitatori possono offrire un pasto a un ospite della mensa di Opera San Francesco, con una donazione facoltativa di 3,50 euro (al momento sono oltre 300 i pasti già donati). Per informazioni: tel. 02.77122580, www.museodeicappuccini.it