Pochi artisti hanno saputo creare fascino e magia con le loro opere come Georges de La Tour, uno dei grandi protagonisti della pittura del Seicento, continuatore delle intuizioni del Caravaggio, eppure allo stesso tempo così diverso dal maestro lombardo. In questo periodo natalizio, nella Sala Alessi di Palazzo Marino a Milano, sono offerti alla nostra contemplazione proprio due splendidi capolavori del pittore francese: la Adorazione dei pastori e il San Giuseppe falegname provenienti dal Museo del Louvre di Parigi.
Adorazione dei pastori
Il Divino Infante è adagiato sulla paglia: avvolto in strette fasce, una candida cuffia sul capo, dorme placido e serio, come solo i neonati sanno fare… Cinque personaggi sono raccolti a semicerchio attorno a lui. Eretta come una scultura, eppure morbida e tenera proprio come una madre, Maria è raffigurata sulla sinistra, le mani giunte in adorazione di quel suo Figlio divino, lo sguardo grave e pensoso di chi medita nella quiete del proprio cuore il compiersi del prodigio annunciato.
Accanto a lei vi è un giovane pastore, umile eppure dallo sguardo fiero, con quei baffetti alla moschettiera e il colletto della camicia vezzosamente ricamato, la mano callosa chiusa sul bastone. Sorride invece il personaggio alla sua destra, ed una è delle poche figure in tutta la pittura di La Tour, in verità, a regalarci un simile sorriso. L’uomo stringe lieto fra le dita un flauto, quasi fosse pronto anch’egli ad unirsi, con semplicità, agli angelici cori e alla musica celestiale di questa notte santa. L’altra mano invece sale alla tesa del cappello, come per un saluto, gioviale e riverente insieme, a questo Re dei Re che ha scelto una stalla per venire al mondo: ma anche soltanto come un benvenuto a una nuova vita.
Vicino a lui una seconda donna, con in testa una specie di turbante. Un’annotazione di vita contadina, ma che ai nostri occhi diventa quasi un elemento esotico. Così che la delicatezza con cui le sue mani recano l’offerta di una pentola di coccio coperta da un piatto, a contenere forse un po’ di latte per l’infante o un po’ di cibo per confortare i suoi genitori, diventa già come il gesto stesso dei Magi che presto giungeranno da Oriente con i loro doni, così simbolici e preziosi.
E poi un uomo di spalle, la barba candida e soffice: il buon Giuseppe. Lo sguardo fisso su quel neonato di cui è padre putativo, stupito per ciò che sta accadendo, ma sinceramente lieto, intimamente felice, come rivela quella scintilla nei suoi occhi che non è solo il riverbero della candela della quale con la mano copre in parte la fiamma, quasi con una sorta di premuroso pudore… Come se dicesse, Giuseppe: non guardate voi spettatori questo piccolo lume, ma volgete piuttosto il vostro sguardo a quella grande luce che è sorta a rischiarare il mondo.
Si tratta insomma di cinque figure dai volti così vivi, così realistici, da sembrare dei veri e propri ritratti, probabilmente di compaesani, e forse di amici, del nostro stesso pittore. Ognuno di essi è come rapito da quello spettacolo che gli si svela dinnanzi, che è al tempo stesso ordinario e straordinario, di questa creatura nata da qualche ora, che giace sotto i loro occhi senza nessuna enfasi, e che rinnova lo stupore per il miracolo della vita…
Sì, tutto in questo dipinto è essenziale. Non ci sono angeli, non ci sono stelle e neppure il bue e l’asino della tradizione. Ma c’è in compenso un piccolo agnello: ed è lui che si avvicina più di tutti al volto del Bambinello. Immagine di infinita tenerezza, ma allo stesso tempo segno che prefigura il sacrificio pasquale, a cui del resto anche le bende, e il sonno stesso di Gesù, direttamente alludono. Un quadro di grande sobrietà compositiva, insomma, che diventa però di straordinaria efficacia espressiva. Che ritroviamo anche nel secondo capolavoro di Georges de Latour, esposto a Palazzo Marino.
San Giuseppe falegname
Nel buio di una scena notturna due figure si confrontano: un fanciullo e un vecchio chino. Si tratta del San Giuseppe falegname qui assistito da un attento e curioso Gesù bambino. Egli ne illumina i gesti antichi di carpentiere, facendo schermo con la mano sinistra – al pittore che li ritrae e a noi spettatori – alla lunga fiammella del cero. A terra, fermato dal peso del piede di Giuseppe, è un trave entro il quale egli pratica un foro con un succhiello; accanto un maglio di legno e una sgorbia. Di grande poesia, quasi metafisica, anche il truciolo arricciato, esaltato dalla luce della candela.
Perché nella simbologia di questo dipinto, come già nella Natività, vi è un chiaro riferimento alla croce, emblema della Salvezza. La luce emanata dal volto del Bambino, simbolo dell’incarnazione divina, rischiara la fronte corrugata di Giuseppe sulla quale è impressa l’angoscia per il destino del figlio. Caro alla pittura del Seicento soprattutto in ambito nordico, il soggetto rivela una sensibilità cromatica fiamminga unita a una una spiritualità di stampo francescano, fuse magistralmente con uno dei temi amati dalla pittura caravaggesca: il giustapporsi della figura dell’anziano a quella del giovane.
Nell’immagine di Giuseppe, così, il pittore sembra voler incarnare quell’umanità fiduciosa che si lascia guidare dalla luce di Cristo, anche se non comprende fino in fondo il misterioso disegno divino.
Fino all’8 gennaio 2012
Secondo quello che ormai è diventato un tradizionale appuntamento natalizio, sponsorizzato dalla Eni, le due straordinarie opere del cosiddetto “Caravaggio francese” potranno essere ammirate con ingresso gratuito nella Sala Alessi di Palazzo Marino (piazza della Scala) fino all’8 gennaio 2012, tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30 (giovedi e sabato sino alle 22.30). Informazioni numero verde gratuito 800149517.