C’è la luce del Caravaggio che squarcia le tenebre: luce di grazia che irrompe nella storia, bagliore che strappa gli uomini dall’abisso del peccato, che redime, che salva. E c’è la luce di Georges de la Tour che accarezza il buio: fiamma tremula che culla i pensieri, che tiene lontani i fantasmi della notte, che accompagna, che rassicura. Per entrambi i pittori, comunque, luce che è simbolo e segno della presenza divina: «Io sono la luce del mondo», dice Gesù di sé.
Caravaggio è la star degli appuntamenti artistici e culturali di questi ultimi anni: in parte si tratta di una “moda”, è evidente, ma più ancora questa attenzione per Michelangelo Merisi rivela una consonanza, un’identificazione, quasi, tra la sua pittura e la sensibilità del nostro tempo. Georges de la Tour, invece, pur non essendo ignoto, è figura ancora da scoprire per il grande pubblico, almeno in Italia, complice anche il fatto che del pittore francese nessuna opera è presente nelle raccolte della Penisola (anche se un suo viaggio nel nostro Paese, magari proprio per studiare il Caravaggio, è ipotizzato da diversi studiosi…).
La mostra in corso a Palazzo Reale a Milano, finalmente riaperta dopo l’emergenza sanitaria e prorogata fino al prossimo 27 settembre, appare dunque come un grande evento e un’occasione da non perdere per avvicinarsi alla meravigliosa pittura di La Tour. Oltre trenta opere provenienti da tutto il mondo, per un percorso che presenta non solo una selezione di capolavori del maestro francese (evitando le recriminazioni, comprensibili quanto sterili, per ciò che manca), ma anche dipinti di pittori a lui contemporanei – come Gerrit van Honthorst (più noto, da noi, con il suo nome italianizzato di Gherardo delle Notti), Paulus Bor e Trophime Bigot, fra gli altri -, che gettano letteralmente una “nuova luce” sull’Europa della prima metà del XVII secolo, al di qua e al di là delle Alpi.
Il recupero della figura di Georges de La Tour, del resto, rappresenta uno dei più luminosi successi della moderna storia dell’arte. Il suo nome, infatti, celebrato in vita, era stato presto dimenticato e fino a un secolo fa non solo non esisteva un catalogo, ma neppure le singole opere potevano essere ricondotte a questo protagonista della pittura del Seicento. Pazientemente, caparbiamente, soprattutto attraverso le ricerche negli archivi, gli studiosi sono riusciti a ricostruire la carriera di La Tour (che si è svolta tutta in Lorena, tra il 1593 e il 1652, tranne una parentesi a Parigi, alla corte del re), indagandone le sperimentazioni e la personalità, togliendolo infine dall’oblio in cui era caduto, senza tuttavia poterne svelare tutti i “segreti”. Così che la sua arte ci appare oggi ancora più suggestiva e affascinante.
Soffusa di tenerezza, ad esempio, è la scena dell’Educazione della Vergine nel dipinto della Frick Collection di New York oggi esposto a Milano, dove una Maria bambina dal viso di porcellana legge le orazioni con l’aiuto della madre, alzando la piccola mano a riparare la fiammella della candela, ma allo stesso tempo come ad anticipare il suo gesto dell’«Eccomi» davanti all’annuncio dell’arcangelo Gabriele.
Drammaticamente attuale, in queste giornate segnate dall’epidemia del coronavirus, si rivela l’immagine di Giobbe deriso dalla moglie (capolavoro del Museo dipartimentale di Èpinal), dove la donna di rosso ammantata si piega sul marito, nell’oscurità della notte (una notte che è angoscia del presente, disperazione del domani), come a chiedergli perché si ostina ad avere fede in Dio, con tutte le sventure e i mali che sta patendo, e l’uomo che con le mani giunte e gli occhi lucidi di pianto, appena socchiusi, mormora il suo «Credo»: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?».
Fumiga in tutti questi quadri un lume. Quello sul tavolo della Maddalena, nell’emozionante, bellissima tela della National Gallery di Washington, è nascosto da un teschio, che ben si vede, sdoppiato, nello specchio di fronte: memento mori che la donna, quella che secondo la tradizione – fondendo insieme diverse figure evangeliche – da adultera e peccatrice si fece apostola del Risorto, tocca con mano e quasi accarezza, nel momento delle scelte definitive, di ciò che davvero conta nella propria vita per cambiarla, radicalmente, sulla via della santità. Così che quella luce che debolmente brilla, accendendo l’oscurità, pare davvero l’illustrazione più vera che Georges de La Tour fa delle parole del salmista: «Fiaccola ai miei passi è la tua parola, luce al mio cammino». Quelle stesse che il cardinal Martini ha voluto sulla sua tomba.
La mostra Georges de La Tour. L’Europa della luce, promossa e prodotta dal Comune di Milano e da MondoMostre Skira, è aperta fino al prossimo 27 settembre a Palazzo Reale a Milano (Piazza Duomo, 12), da giovedì a domenica, dalle 11 alle 19.30 (giovedì fino alle 22.30). La prenotazione è obbligatoria con Vivaticket (tel. 0292897755) o sul sito www.mondomostreskira.vivaticket.it . Tutte le info su www.latourmilano.it