Cento anni fa, il 28 giugno 1914, il ventenne Gavrilo Princip uccise a Sarajevo l’arciduca Franz Ferdinand, erede al trono dell’Impero asburgico. Di lì a poco, l’Europa scivolò nella prima guerra mondiale e il mondo scoprì che il sistema politico internazionale si era globalizzato.
L’Europa del 1914 era certamente molto diversa da quella attuale. Allora una serie di alleanze militari incrociate incatenava gli Stati in un sistema a strategie rigide che dovevano preservare l’equilibrio fra le grandi potenze, evitando il dominio di un solo attore sul continente, ma che condussero alla catastrofe generale nel momento in cui un pezzo del mosaico si mosse e minacciò di far collassare tutto il sistema. Nel tentativo di salvare (con la guerra) l’equilibrio, il sistema collassò ugualmente e tutto cambiò. L’Europa entrò in una spirale di guerra e nazionalismo che durò trent’anni, provocò decine di milioni di morti e segnò il tramonto della sua supremazia sul resto del mondo.
Oggi tutto ciò sembra lontano, inconcepibile. Eppure è ancora possibile ripensare a quegli avvenimenti traendone degli insegnamenti, perché alcune delle questioni che allora contribuirono a sconvolgere il mondo riecheggiano in problemi e dinamiche che sono tutt’ora all’ordine del giorno.
Prima di tutto il ruolo e le conseguenze della guerra. Oggi come allora, in certi casi estremi la guerra può rendersi inevitabile, ma pensare che essa possa costituire lo strumento attraverso il quale risolvere dei problemi politici complessi, che vanno oltre la sopravvivenza di un popolo e di un’unità politica, costituisce un errore gravissimo. Tuttavia, alcune scelte di grandi e piccole potenze contemporanee mostrano che certi errori continuano a essere commessi, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Uno dei frutti più importanti delle due guerre mondiali, fu proprio l’elaborazione teorica e poi la realizzazione concreta del processo d’integrazione europea, ossia la presa di coscienza che per espellere l’orizzonte della guerra dal continente europeo fosse necessario provare a percorrere una via opposta a quella della violenza. Prima il progetto paneuropeo del conte Coudenhove-Kalergi negli anni Venti e poi le iniziative di Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman dopo la seconda guerra mondiale, crearono un’alternativa politica inedita, che oggi ci permette di vivere in un’Europa completamente diversa perché pacifica.
Un altro nodo fondamentale che collega l’Europa di allora a quella odierna è il nesso fra identità culturale, nazionale e forma politica. Nel 2014 come un tempo, i conflitti nascono laddove questo nodo non è stato sciolto, dove esistono gruppi discriminati e situazioni di grave diseguaglianza, sia essa politica o economica. La storia di Sarajevo, che ottant’anni dopo l’assassinio dell’arciduca Franz Ferdinand tornò al centro di una feroce guerra, illustra chiaramente questo tipo di problemi, che oggi – solo grazie al diffondersi della liberal-democrazia e al processo di integrazione europea – si sono spostati ai confini del continente, ma che continuano a far sentire le loro conseguenze nefaste in varie forme. Il conflitto tra Russia e Ucraina resta, da questo punto di vista, un monito per tutti.
Il terzo legame fondamentale fra l’Europa di un tempo e quella di adesso riguarda proprio la democrazia e le sue trasformazioni. L’avvento dei regimi democratici in una prospettiva nazionale permise di risolvere gran parte dei problemi europei di cento anni fa, fornendo una forma politica capace di garantire rappresentanza ed efficacia. Gli Stati che dopo il 1945 finirono nell’orbita dell’Unione Sovietica vedevano una via tracciata davanti a loro quando le dittature comuniste crollarono. In questa nuova epoca è necessario uno sforzo di elaborazione e determinazione non minori, per adeguare le forme politiche alle esigenze dell’Europa e della sponda meridionale del Mediterraneo.