È un giugno anomalo per la Chiesa ambrosiana che storicamente, in questo mese, gioisce per i suoi novelli sacerdoti. La pandemia ancora in corso ha costretto a rimandare la data delle ordinazioni presbiterali (previste il 13 giugno in Duomo) al 5 settembre. Ma per i 22 diaconi questo non è un tempo sospeso, bensì un’occasione di riflessione sul ministero, in un periodo di grandi cambiamenti e di servizio pastorale, da svolgere con nuove modalità. Ce lo conferma Giacomo Trevisan che, in qualità di prefetto, parla anche a nome dei suoi compagni.
Come state vivendo il rinvio dell’ordinazione?
Con molta trepidazione. La situazione creatasi con il virus ha costretto a uscire dagli schemi pastorali e capisco che entrare nel presbiterio in questo momento è difficile, ma anche entusiasmante, perché richiede un grande lavoro su quella strada a cui – profeticamente – ci stanno invitando da tempo il Papa, il nostro Vescovo e la Chiesa: quella del discernimento comunitario, che è fatto di ascolto e di essenzialità, più che di istruzioni. Se è vero che i primi anni dopo l’ordinazione sono i più formativi, personalmente sono contento di poter essere plasmato come prete in questo periodo di grande cambiamento. In questi mesi abbiamo vissuto a stretto contatto con i nostri familiari, come non succedeva da tempo, e ora ci stiamo spendendo quasi tutti in modo pieno nelle comunità di servizio diaconale: ci vorrà tempo per digerire tutte queste emozioni.
La particolare situazione vi ha spinto a scrivere all’Arcivescovo. Su cosa sentivate la necessità di confrontarvi?
La lettera che abbiamo scritto al Vescovo è stata il frutto di un incontro di classe. Abbiamo condiviso desideri, timori, domande e intuizioni spirituali nati nel periodo di isolamento. Ovviamente il nostro sguardo si è posato sull’ordinazione sacerdotale. Abbiamo voluto condividere con il nostro Vescovo innanzitutto la gratitudine per questo dono, che ha come fine il bene della Chiesa, affidandoci a lui nell’accogliere le tempistiche e le modalità più idonee.
Sarà un’estate senza oratori e campi estivi. Come vi è stato chiesto di vivere questi mesi in preparazione all’ordinazione?
Io sono a Desio, nella Comunità pastorale che comprende cinque parrocchie. Qui, come in altre comunità, stiamo lavorando tanto, con gli adolescenti e gli educatori, sul valore dell’oratorio per ideare proposte per essere vicini ai bambini che non potranno venire fisicamente in oratorio.
Vi state tenendo in contatto come classe?
Sì, senza abusare delle piattaforme online. Abbiamo fatto incontri e anche momenti di preghiera insieme, mantenendo però sempre la giusta libertà di partecipazione. Ci troveremo finalmente tutti insieme in Arcivescovado, sabato 27 giugno, per ricevere dal Vescovo le nostre destinazioni da diaconi e quindi da futuri preti, poi ad agosto speriamo di poter recuperare quei giorni di pellegrinaggio a Roma che avremmo dovuto vivere a marzo, incontrando il Santo Padre. Inoltre abbiamo chiesto di poter avere un momento forte di classe in Seminario prima dell’ordinazione, perché per molti di noi la fine della quarantena volontaria ha coinciso con una partenza rapida, quasi una fuga, da Venegono, per limitare i contatti con gli altri seminaristi ancora in isolamento. Pensare di congedarsi così dal luogo che ci ha custodito in questi anni ci lasciava un po’ di amaro in bocca. Per questo desideriamo vivere gli esercizi spirituali, la settimana prima delle ordinazioni, nel nostro Seminario.