Esattamente duecento anni fa, il 3 maggio 1820, nasceva Vincenzo Vela, uno dei più significativi scultori del XIX secolo. Alfiere degli ideali risorgimentali, combattente per la libertà dei popoli con le armi dell’arte e della cultura (ma pronto anche a imbracciare il fucile contro l’asburgico oppressore), Vela per tutta la sua vita ha incarnato la figura dell’artista politicamente e socialmente impegnato, secondo la visione mazziniana e repubblicana, raggiungendo riconoscimenti e fama senza pari tra i contemporanei, con le sue statue innalzate nelle piazze dell’Italia unita e il suo nome iscritto nel famedio del Cimitero monumentale di Milano, ma avendo pagato anche lo scotto dell’umiliazione e dell’esilio per non essere sceso a compromessi con i propri princìpi.
Ticinese di nascita, originario di quel borgo di Ligornetto dove oggi sorge la sua casa museo, Vincenzo Vela è l’ultimo figlio di una famiglia di contadini. A 12 anni è già a lavorare in una cava, e su quelle pietre che tira fuori dalla montagna disegna e scolpisce per diletto. Ma il suo talento non passa inosservato e grazie a un fratello che ha avviato a Milano un’attività di decoratore anche lui arriva adolescente all’ombra della Madonnina, praticante tra i marmi del cantiere del Duomo di giorno, studente di belle arti a Brera la sera.
Poco più che ventenne vince il concorso indetto dall’Accademia di Venezia con un bassorilievo raffigurante Gesù che resuscita la figlia di Giairo. Quindi gli viene commissionato il monumento per il vescovo Luvini a Lugano. E la stessa Veneranda Fabbrica gli chiede le statue di due santi martiri da collocare sui pinnacoli della cattedrale ambrosiana. Ma è con La preghiera del mattino, nel 1846, che Vela si consacra manifestamente come nuovo protagonista della scultura italiana. Ed è proprio attraverso la riscoperta di questo capolavoro che vogliamo rendere omaggio al grande artista in questo bicentenario della sua nascita.
L’opera viene realizzata per Giulio Litta, aristocratico milanese di idee liberali, mecenate e collezionista d’arte: lui e Vela sono coetanei e si sono conosciuti nei salotti culturali e patriottici della città (come quello brioso della contessa Clara Carrara Spinelli, o quello prestigioso del “nume” Alessandro Manzoni), trovandosi subito in sintonia sui temi dell’arte e della politica. Giulio chiede a Vincenzo una statua da collocare nella chiesa di famiglia di Santa Maria delle Selve a Vedano al Lambro, ma lascia all’artista piena libertà di scelta riguardo al soggetto e alla sua realizzazione.
Non sappiamo perché Vela abbia voluto realizzare proprio questa figura. Probabilmente voleva cimentarsi con un soggetto simile alla Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini (uno dei gioielli del Museo Poldi Pezzoli), che dieci anni prima aveva suscitato grande scalpore. Quasi una sfida, insomma, lanciata sullo stesso campo dall’allievo al maestro, una dimostrazione di cosa fosse capace l’ultimissima generazione di scultori… Il risultato, in ogni caso, è strepitoso, emozionante, sorprendente: oggi come allora.
Una fanciulla è raccolta in preghiera, inginocchiata su un cuscino, a piedi nudi, scapigliata, con ancora la camicia da notte addosso. Al collo ha una sottile collana con un piccolo crocifisso; tra le mani, raccolte in grembo, il libretto delle orazioni. La testa è leggermente chinata, le palpebre abbassate, le labbra appena socchiuse in una mormorata, intima invocazione. Il sonno non sembra avere ancora del tutto abbandonato questo giovane corpo che si ridesta alla vita nel nuovo giorno. Ma il primo pensiero è proprio per quel Padre misericordioso che anche oggi ha fatto sorgere il sole, affinché sostenga nelle quotidiani fatiche, preservi da ogni pericolo. La preghiera del mattino: il moto riconoscente dell’umana creatura per il suo divino Creatore.
Questa incantevole figura, tuttavia, rappresenta anche un’allegoria. Quella ragazza, infatti, agli occhi dei contemporanei appariva anche come l’immagine stessa delle aspirazioni di libertà e di unità del popolo italiano (la “Giovine Italia” di mazziniana memoria), che, finalmente svegliatosi da un lungo sonno, con fiducia si affidava a Dio perché si compisse il proprio destino.
Un’immagine religiosa, insomma, ma anche politica. E all’epoca, naturalmente, lo compresero tutti e subito, in occasione delle diverse esposizioni che vennero tenute a Brera e in varie sedi fino alla vigilia dei moti del Quarantotto. Così che gli italici patrioti esaltarono la statua di Vincenzo Vela, mentre i sostenitori del governo austriaco cercarono per lo più di ridimensionarne il valore. Intrecciandosi così i giudizi a partire dalle questioni eminentemente artistiche ed estetiche, degli uni che vedevano in quest’opera dello scultore ticinese l’atteso superamento del vecchio accademismo (Hayez, il più acclamato dei pittori dell’epoca, ne fu entusiasta) e degli altri che contestavano la ricerca di un “realismo” che, a loro giudizio, sviliva l’ideale stesso dell’arte. Del resto proprio questa era la rivoluzione del rivoluzionario Vela: fare nella scultura ciò che Manzoni aveva compiuto nella letteratura, superando il romanticismo per il naturalismo, facendo prevalere il senso sulle formule e sui precetti.
Donata in seguito all’Ospedale Maggiore di Milano, la Preghiera del mattino è ora esposta a Palazzo Morando a Milano, sede museale che illustra le vicende storiche e culturali del capoluogo lombardo. E aspettando di poterla ammirare nuovamente dal vivo, anche noi, provati dalla situazione attuale, possiamo ritrovarci nell’atteggiamento di questa giovane scolpita: in fiduciosa e orante attesa.