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Politica

Coronavirus e democrazia, la lezione di Aldo Moro

Il contagio e la quarantena stanno mettendo a dura prova le nostre istituzioni. Il punto però non è se chiudere il Parlamento o no: in un frangente come questo c'è più che mai bisogno che tutti gli snodi fondamentali del nostro sistema democratico siano funzionanti e operativi. Ma è necessario uno sforzo di collaborazione che coinvolge tutti gli attori in campo

di Stefano DE MARTIS

20 Marzo 2020
Aldo Moro

La conferenza dei capigruppo della Camera, l’organismo a cui compete il calendario e la programmazione dei lavori, si è riunita in teleconferenza per evitare rischi di contagio. È la prima volta. Per il voto dei parlamentari a distanza, se mai ci sarà, non è ancora il momento, anche se se n’è discusso molto in questi giorni.

Il punto, tanto per non prestarsi a equivoci, non è se chiudere il Parlamento o no: in un frangente come questo c’è più che mai bisogno che tutti gli snodi fondamentali del nostro sistema democratico siano funzionanti e operativi.

Ma bisogna metterlo nelle condizioni di lavorare. Il contagio e la quarantena stanno già tagliando le gambe ad alcune commissioni. Il rischio è che possa risultare alterata anche la composizione delle Assemblee e quindi la stessa rappresentanza parlamentare: a Palazzo Madama, per esempio, la maggioranza è tale per pochi voti e basterebbe il blocco di una manciata di senatori per mettere in crisi il governo.

Sono questioni inedite come inedita è l’epidemia da coronavirus. A dire il vero tutte le emergenze rappresentano una sfida particolarmente difficile per una democrazia. C’è bisogno di assumere decisioni drastiche, rapide, e la tentazione di prendere delle scorciatoie pericolose diventa forte.

Il fascino insidioso delle dittature si presenta in modo suadente quando la situazione sembra andare fuori controllo. Per questo la trasparenza delle decisioni e il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento sono così importanti.

Com’è importante una capacità di adattamento che dimostri la vitalità di una democrazia, la sua idoneità a fronteggiare qualunque pericolo e a tutelare la vita dei cittadini senza tradire la sua natura.

Abbiamo da poco ricordato, il 16 marzo, l’anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta. Poco più di due settimane prima di quell’evento, il 28 febbraio 1978, in piena emergenza economica e terroristica, lo statista democristiano aveva tenuto il suo ultimo, memorabile discorso ai gruppi parlamentari della Dc. Aveva detto tra l’altro: «Siamo davanti a una situazione difficile, una situazione nuova, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non servono più; è necessario adoperare qualche altro strumento, guardare le cose con grande impegno, con grande coraggio, con grande senso di responsabilità». Come non sentire, oggi, l’attualità di quelle parole? E ancora: «Abbiamo una emergenza economica, una emergenza politica, e io sento parlare di opposizione, del gioco della maggioranza e dell’opposizione. Sono in linea di principio pienamente d’accordo: nel nostro sistema che è il migliore, anche se limitato a un esiguo numero di Stati privilegiati, questa idea di una maggioranza e di una opposizione intangibili e intercambiabili mi pare cosa di grandissimo significato. Ma immaginate cosa accadrebbe in Italia, in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa fosse condotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo? Ecco su che cosa consiglio di riflettere per trovare un modo accettabile per uscire da questa crisi».

Moro doveva convincere i parlamentari Dc a sostenere un governo che, pur essendo un monocolore democristiano, nasceva grazie all’astensione di tutti gli altri partiti e soprattutto, per la prima volta, del Pci. Ma al di là della formula legata a quello specifico contesto storico, la sua visione esprime in modo mirabile lo spirito con cui una democrazia può e deve fronteggiare un’emergenza. È lo spirito con cui lo scorso 11 marzo le Camere hanno approvato con voto unanime lo scostamento di bilancio che ha aperto la strada dal maxi-stanziamento del decreto “Cura Italia”. In quell’occasione deputati e senatori si sono organizzati per assicurare i numeri necessari al voto e rispettare le norme anti-contagio. Una soluzione “creativa” (si passi il termine) che però ha funzionato grazie alla collaborazione di tutti i gruppi. Ora che i capigruppo di entrambi i rami del Parlamento hanno fissato il calendario delle prossime settimane, senza adottare quelle procedure semplificate che pure erano state prospettate da molti, il clima politico sembra tornato conflittuale.

Ma il Paese non può permettersi un percorso a ostacoli per le misure varate dal governo, fatta salva naturalmente la possibilità di correzioni in corsa con il contributo costruttivo anche dell’opposizione.

Per questo il Capo dello Stato non perde occasione per chiedere a tutti, nei discorsi pubblici e, nelle ultime ore, anche a livello informale, uno sforzo di collaborazione. È assolutamente necessario per l’attività parlamentare e, se possibile ancor di più, per mandare un segnale agli italiani, sia quelli che sono in prima linea nella lotta contro il virus, sia quelli che partecipano con un comportamento responsabile alla battaglia comune, accettando limitazioni finora impensabili.

I sondaggi rivelano un consenso mai visto prima per le iniziative del governo. Forse è come se gli italiani mandassero questo segnale: è il governo di questo Paese, non di una parte contro l’altra, sosteniamolo. Le forze di opposizione hanno tutto da guadagnare nel tenere un atteggiamento dignitosamente costruttivo e responsabile. In questi giorni è stato spesso citato il precedente di Winston Churchill che dopo aver guidato la Gran Bretagna contro Hitler perse le elezioni del 1945. Non è né un auspicio né un timore, ma un tributo alla forza della democrazia che, secondo un celebre aforisma attribuito proprio a Churchill, è «la peggiore forma di governo possibile, fatta eccezione di tutte le altre sperimentate finora».