Un inno a Milano, anzi – di più -, una benedizione ripetuta e scandita che il Pastore ambrosiano pronuncia rivolgendosi alla sua città, al popolo che la abita, alla speranza che la anima, al futuro che tutti vorremmo.
La Celebrazione eucaristica nell’Ottava del Natale del Signore e il canto del Te Deum, sono, per l’Arcivescovo che li presiede, come sempre a sera del 31 dicembre nella parrocchia di San Fedele, un’occasione e, insieme, una consegna, un monito e un’indicazione per vivere, insieme e meglio, sotto lo stesso cielo della città, della metropoli e del suo grande territorio, della Diocesi.
Concelebrano il Rito – al quale partecipano un gran numero di fedeli e le autorità civili, tra cui la vicesindaco, Anna Scavuzzo con la fascia del Primo cittadino – 11 presbiteri, molti dei quali appartenenti alla Comunità dei Gesuiti, a cui è affidata la parrocchia. Accanto al Vescovo, in altare maggiore, siedono i padri Maurizio Teani e Giacomo Costa, rispettivamente parroco di “San Fedele” e presidente della Fondazione culturale omonima. È padre Teani a porgere il saluto di benvenuto, cui risponde subito il vescovo Mario. «Siamo qui per fare sintesi di un anno e trasfigurarlo in Eucaristia. In ogni nostra condizione di vita, tutto trova la sua salvezza nella Pasqua di Gesù».
Dunque, ultimo giorno del 2019, guardando già al 2020, che non può che indurre a innalzare una benedizione – «non una specie di assicurazione sugli imprevisti che garantisce il buon esito di tutto, qualsiasi cosa capiti» – ma che è, piuttosto, una dichiarazione di alleanza. «La benedizione di Dio non è una specie di accondiscendenza che approva qualsiasi cosa: è chiamata a diventare alleati di Dio, a convertirsi, a trovare la via del bene e a tenersi lontani dalla via del male».
Da qui, il desiderio di benedire la città di Milano, tutta la Chiesa ambrosiana, ogni persona con le responsabilità che ognuno dovrà sostenere nei mesi a venire.
«Benedetta, Milano, città dell’efficienza, se unirai all’efficienza la saggezza; al calcolo la generosità. Benedetta, città che non sei solo città, ma anche provincia e regione, terra di mezzo e terra di passaggio. Benedetta, città delle eccellenze, se l’eccellenza non diventerà inaccessibile ai poveri, ma sarà qualità buona della vita resa possibile per tutti. Benedetta, città della fretta e della operosità produttiva, se imparerai anche il tempo della pace e della preghiera».
E, ancora la città degli affari, famosa nel mondo, «benedetta se imparerai che l’affare più promettente è l’investimento sulla qualità dei rapporti tra le generazioni e tra le persone, sulla qualità di vita dei bambini, sulle famiglie. Città che attiri capitali e investimenti, benedetta se saprai vigilare per non venderti al miglior offerente, purché paghi. Benedetta, città ricca, se i poveri che vivono in te alzeranno al cielo un cantico di benedizione per la tua generosità, la sua sollecitudine perché i poveri non siano più poveri. Benedetta, città dei risultati prestigiosi, se ti accompagna la sobria modestia del buon senso e la coscienza dell’incompiuto. Benedetta, città sapiente in ogni disciplina, coraggiosa in ogni ricerca, appassionata di innovazione e tecnologia, se sarai vigile sulla tentazione di un orgoglio presuntuoso che cancella il senso del limite».
Poi, l’affondo, in un silenzio che dice tutto dell’interrogativo che le parole del Vescovo pongono ai presenti e, idealmente, a tutti i cittadini: «Benedetta sia la città dei poveri, la città di quelli che cercano casa e non la trovano, cercano lavoro e non lo trovano, che cercano amore e non lo trovano; benedetta se saprai inventare le alleanze che rendono forti i deboli, le collaborazioni che rendono raggiungibili méte che sembravano inarrivabili e la tenacia che strappa i sogni dalle nuvole e li ospita sulla terra. Benedetta città del bene che non fa notizia, dei preti e delle suore, dei Carabinieri, dei Pompieri, dei Poliziotti e dei Vigili, dei medici e degli infermieri, del popolo immenso dei volontari che presta soccorso senza stancarsi, il giorno di Natale e tutti i giorni dell’anno. Benedetta, città degli infelici, dei malati e dei carcerati, dei solitari per forza, di uomini e donne che ricordano le feste dei loro Paesi e piangono di nostalgia, benedetti perché non mancherà una parola amica, la consolazione di Dio», per chiamarci tutti “fratello” e “sorella”.
E così vale per ciascuno – le espressioni sono ancora dell’Arcivescovo nel saluto conclusivo – se «la vita è benedetta da Dio e, perciò, possiamo essere benedizione per chi ci incontra».
La Celebrazione del Te Deum al “Pio Albergo Trivulzio”
La scintilla di bene che sempre viene dai gesti di bontà e di affetto, grandi o piccoli che siano e la scia di luce che ne nasce, possibile in ogni donna e uomo, creati a immagine di Dio.
Dice così l’Arcivescovo ai moltissimi degenti, con molti loro parenti, i medici, gli indispensabili volontari, i vertici dell’“Azienda di Servizi alle Persona Istituti Milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio”, che lo circondano di affetto, appunto, presso il “Trivulzio”, per il tradizionale Canto del Te Deum, quale ringraziamento al Signore per i 12 mesi passati.
In rappresentanza del Sindaco, c’è l’assessore alla Mobilità e Lavori pubblici del Comune di Milano, Marco Granelli e, per la Regione, Stefano Bolognini, assessore alle Politiche sociali, abitative e disabilità, e Giulio Gallera, assessore al Welfare. Non mancano i vertici dell’Azienda con alcuni Consiglieri del Consiglio di Indirizzo e il direttore generale, Giuseppe Calicchio, che porta il saluto di benvenuto.
Concelebrano il Rito, il cappellano rettore della Cappellania “Immacolata Concezione” dell’Istituto,
don Carlo Stucchi, il cappellano don Alfredo Vallicelli, don Serafino Marazzini, decano del Decanato “Vercellina” e don Domenico Storri, parroco di “San Pietro in Sala”, nel cui territorio si trova l’Istituto.
A tutti si rivolge il vescovo Mario. «Tutto il bene che qui è compiuto sono state luce e piccole scintille che hanno illuminato il mondo, dalle azioni più semplici e affettuose alle più complesse e operose».
Voi siete «non degli angeli che vengono dal cielo, non fenomeni straordinari, non dei ritrovati della tecnologia, non elaborazioni teoriche, ma donne e uomini, giovani e vecchi, sani e malati, ciascuno con le proprie storie semplici e complicate, piene di ferite». Insomma, esseri umani in carne ed ossa.
«Come è possibile, allora, che questa fatica di vivere e l’opacità del nostro fisico, che rivela sua fragilità e il suo dolore, possa fare luce?».
La risposta è nel Vangelo e nelle parole che Gesù ha portato nel mondo «con due motivi da meditare ogni giorno dell’anno, per essere fieri di ciò che siamo», sottolinea l’Arcivescovo.
«Perché – ed è la prima ragione – siamo stati creati a immagine e somiglianza dal Signore Gesù che è la vera luce del mondo». E, poi, il secondo motivo: «La parola che Gesù ci ha rivolto è una promessa a cui abbiamo creduto, sapendo che ci possiamo fidare di Lui. La speranza non è un’immaginazione, una proiezione, un calcolo, un’aspettativa, basata sulle statistiche, ma è credere nella promessa del Signore, mettendoci in cammino per vivere, morire, risorgere con Lui. Per questo possiamo dire a ogni uomo e donna che incontriamo di venire nella nuova Gerusalemme, che è la Città della gioia, dove tutti siamo attesi».
Emerge la conclusione: «Ecco perché siamo qui a celebrare questa fine di anno con il Te Deum, perché abbiamo motivo per lodare il nostro Dio, che ci ha reso luce del mondo, fatti conformi a Gesù, popolo della speranza».
Infine, c’è ancora tempo per un ultimo augurio e «perché la fine e l’inizio dell’anno nuovo siano benedetti da Dio. Vi lascio la Regola di vita per i nonni e le nonne che possono dare molto per la loro famiglia, per la Chiesa e la società. Quando stanno bene, ma anche quando l’età e le condizioni di salute impediscono di fare ciò che si è fatto per tutta la vita. Potete sorridere, pregare, distillare, sulla vostra esperienza, una parola saggia; potete ascoltare e dare testimonianza di speranza».
Il saluto portato a uno a uno degli anziani e degenti in carrozzina, la breve preghiera davanti al bel presepe allestito nella Cappella dell’Adorazione della Rettoria – finalmente restaurata con un grande effetto scenico -, e la visita ai reparti RSA “Schiaffinati” 1 e 3, con la benedizione ai presenti, concludono l’intenso momento pomeridiano.