Da piazza Duomo a piazza San Pietro. Per ricordare il decimo anniversario di beatificazione di don Carlo Gnocchi, la grande famiglia della Fondazione a lui intitolata si recherà a Roma il 31 ottobre e incontrerà papa Francesco. «Un amico e una guida per noi tutti – dice il presidente don Vincenzo Barbante -. Nella semplicità delle sue parole, nella sua cordialità, nella sua attenzione a tutte le fragilità del mondo, nella sua franchezza cogliamo uno spirito a noi famigliare e una comunione profonda con quel motto in cui si riassume la nostra identità: accanto alla vita, sempre!». Intanto, venerdì 25 ottobre alle 10.30, al santuario del Centro «S. Maria Nascente» di Milano in via Capecelatro 66, l’arcivescovo Mario Delpini presiederà la santa Messa. «È la data della beatificazione e della commemorazione liturgica di don Carlo Gnocchi», spiega monsignor Angelo Bazzari, presidente emerito della Fondazione. «Come sempre l’invito è rivolto agli operatori, volontari, ex allievi, benefattori, insomma a tutti coloro che si interessano della “baracca”, come la chiamava don Carlo. Quest’anno sarà in tono minore perché in preparazione dell’udienza dal Papa abbiamo organizzato alcune celebrazioni particolari nei vari Centri per cogliere la spiritualità di don Gnocchi e arrivare preparati a ciò che Francesco ci dirà».
Monsignore, che cosa ricorda della beatificazione di don Gnocchi la mattina di dieci anni fa?
Uno spettacolo straordinario dove anche il sole celebrava la beatificazione di don Gnocchi. E poi la partecipazione di una folla oceanica, attenta e consapevole, cui si è aggiunta la platea di tre milioni di spettatori che hanno seguito la celebrazione in diretta televisiva. È stata un’apoteosi, alla presenza di tanti cardinali, vescovi e preti. È stato il giusto riconoscimento e omaggio al beato don Carlo, dopo che la piazza aveva conosciuto i suoi funerali con cento mila persone.
Chi sono i “mutilatini” a cui oggi la Fondazione dedica cure e attenzioni attraverso le sue numerose strutture e il personale specializzato?
Mutilatini ne abbiamo ancora nei nostri Centri all’estero, in Bosnia-Erzegovina a Široki Brijeg; in Africa nel Rwanda; in Ecuador a San Lorenzo, dove sono stato qualche anno fa e ho visto un bambino che percorreva due chilometri e mezzo claudicante, andata e ritorno, per frequentare la scuola di formazione. In Italia curiamo gli ex mutilatini (allievi di allora) che godono ancora di qualche servizio sia di ricovero sia ambulatoriale. Il resto è tutto giocato sul crinale della vita più vulnerata, più fragile: curiamo dalla culla alla tomba, dalla neuropsichiatria infantile fino all’ultimo vagito di vita dei malati terminali o delle persone in stato vegetativo. Attraversiamo il dolore fisico e la sofferenza psichica di uomini e donne.
Che cosa rappresenta il beato don Carlo per migliaia di malati, disabili, assistiti?
Don Carlo lo collocherei sotto tre profili. Il primo, è uno dei giganti della carità che ha costellato il percorso e i tornanti della Chiesa, penso a don Calabria, don Bosco, don Orione, sono tutti grandi che hanno risaltato l’anima della carità; il secondo filone è quello della carità di questi santi che hanno privilegiato gli ultimi, i deboli della catena sociale e sono ancora impegnati su queste frontiere della vita offesa dalla violenza o dalla malattia. In più con don Gnocchi, e questo è il terzo filone, si è innestata la riabilitazione (non solo l’assistenza), quindi il tentativo di restituire alla società forze vive, non parcheggiate, ma capaci di produrre in maniera inclusiva.
È una memoria ancora viva anche in chi l’ha conosciuto?
Sì. Oggi gli ex allievi testimoniano questo amore di “papà don Carlo”. È una memoria talmente viva che quando si scambia qualche parola con alcuni di loro, in genere si commuovono. Nei loro occhi sembra passare l’immagine di don Gnocchi, proprio perché dicono: “Ti guardava dentro, con i suoi occhi ti penetrava nel cuore, ti iniettava una flebo di speranza per il futuro”. Che poi è stato reale.