«Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). «I due verbi tradotti con “coltivare e custodire” in ebraico significano anche “servire e osservare” e sono i due termini classici della teologia dell’alleanza. C’è, quindi, un’alleanza con Dio che si esprime nell’azione quotidiana, nell’impegno di trasformazione del mondo. Alla radice della storia della salvezza l’uomo è alleato del Creatore, come al Sinai Israele sarà alleato del Redentore. Bisogna celebrare quasi una liturgia del lavoro, orientata verso il Signore del cosmo. Ad essa partecipano tutti coloro che, al di là delle loro confessioni religiose o del loro ateismo, si sforzano di offrire pane, benessere, serenità ai fratelli» (Gianfranco Ravasi, Il libro della Genesi).
Vi è continuità tra la missione che l’uomo ha ricevuto da Dio di coltivare e custodire la terra e la missione della Chiesa che, guidata dallo Spirito del Risorto, attende quello che l’apostolo Paolo chiama «la rivelazione dei figli di Dio», cui la stessa creazione è protesa (Rm 8,9). L’invio dei discepoli da parte di Gesù risorto – «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8) – si estende a tutta l’umanità e coinvolge il creato stesso: «L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rom 8,20-24).
Sono le prospettive sottese in alcuni significativi passaggi dell’enciclica Evangelii Gaudium di papa Francesco. Uno di questi in particolare: «Ci sono altri esseri fragili e indifesi, che molte volte rimangono alla mercé degli interessi economici o di un uso indiscriminato. Mi riferisco all’insieme della creazione. Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione. Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e quella delle future generazioni». (EG 215)
La Veglia missionaria diocesana di quest’anno – sul tema scelto «Battezzati e inviati. Per la custodia del creato», che sarà presieduta in Duomo dall’Arcivescovo sabato 26 ottobre, a partire dalle 20.45 (diretta su Chiesa Tv – canale 195, Radio Mater e www.chiesadimilano.it) – intende inserirsi nel cammino che la Chiesa universale sta vivendo, accogliendo l’invito di papa Francesco a «risvegliare la consapevolezza della missio ad gentes» e a volgere lo sguardo alla Chiesa in Amazzonia, il cui Sinodo si concluderà domenica 27 ottobre. Coloro che riceveranno il mandato in Duomo saranno inviati entro questo orizzonte universale: proclamare la dignità di ogni essere umano chiamato a diventare, in Gesù, figlio di Dio significa proclamare insieme la dignità della terra che Dio ci ha donato come casa, rispettandola. I simboli che accompagneranno la celebrazione (acqua, terra e fuoco) indicheranno nello stesso tempo gli elementi fondamentali per la vita dell’uomo sulla terra e la loro rilettura evangelica: Acqua che purifica e rinnova, Terra dalla quale germina quel Seme che produrrà «il cento, il sessanta e il trenta per uno», Fuoco segno dello Spirito che spinge gli apostoli fuori dal Cenacolo.