Sir 50,1a-b; 44,16a.17a.19b-20a.21a.21d.23a-c; 45,3b. 12a.7.15e-16c; Sal 88 (89); Ef 3,2-11; Gv 9,40; 10,11-16
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,14-15)
In questo testo Gesù usa per due volte l’espressione «Io sono», espressione altamente rivelativa usata da Dio per rivelarsi a Mosè. Gesù per definire se stesso usa l’immagine del buon pastore che si differenzia dal pastore mercenario il quale quando arriva il pericolo fugge via perché è interessato solo a salvare la sua vita. Il pastore buono invece è pronto anche a mettere in pericolo la propria vita per il gregge, ma questo è possibile solo se il pastore conosce le sue pecore di una conoscenza particolare che è generata dalla prossimità, dall’assidua custodia del gregge. Come il pastore conosce le pecore, così le pecore conoscono il pastore. Questa conoscenza è così profonda ed è paragonata alla conoscenza che il Padre ha del Figlio e viceversa. Questa frase mette però in gioco una conoscenza reciproca. Gesù ci conosce, ma quanto noi lo conosciamo? Conoscere Gesù implica un metterci alla sua presenza, vivere in comunione con lui e con la sua Parola.
Preghiamo
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio con noi,
per imparare l’amore vero e per camminare nella gioia
e nella forza della tua carità lungo il cammino
della nostra vita faticosa, fino all’incontro finale
con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli.
Amen
(san Paolo VI)