Dt 6, 4a; 11, 18-28; Sal 18 (19); Gal 6, 1-10; Gv 4, 5-42
Mosè disse: «Ascolta, Israele: Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, come i giorni del cielo sopra la terra, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro». (Dt 11, 18-20)
Gli israeliti ricevono le parole della legge e il comando di tenerle sempre con sé, sul proprio corpo e all’ingresso delle case. Questo comando suggerisce l’idea che la parola del Signore si rivolge personalmente a ciascuno, ma insieme è destinata a tutti: infatti, tenere la parola con sé corrisponde alla necessità di insegnarla alle giovani generazioni e metterla sulle porte della casa la rende visibile a chi entra e a chi esce, non solo a chi dimora in quella casa.
Ciò interroga chi vive la Quaresima: in quale modo la Parola del Signore è radicata nell’esistenza? In quale modo quella che dovrebbe essere la presenza decisiva nella propria vita lo è a tal punto da essere condivisa (non tanto con nuove parole, ma perché resa presente nell’agire) con la vita degli altri?
Preghiamo
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.
dal Salmo 18 (19)