Cifre mostruose. Record macinati con implacabile regolarità. Costi sociali dolorosissimi. L’azzardo legalizzato, in Italia gestito dai Monopoli di Stato e definito pertanto “gioco pubblico”, è un drago vorace. Che nel 2013 aveva ingoiato 83 miliardi euro, diventati quasi 148 nel 2023 (ultimo dato certificato) e quasi 160 nel 2024 (dato in attesa di ufficializzazione, mentre le stime per il 2025 si spingono a 180 miliardi): significa che due anni fa gli italiani hanno speso per tentare la fortuna l’89% di quello che hanno speso per sfamarsi e un po’ più di quanto speso (131 miliardi) per curarsi.
Il boom di giocate e incassi è dovuto alla vertiginosa crescita del cosiddetto “azzardo a distanza”, quello che si gioca online: grazie alla spinta del Covid, dal 2020 ha superato per volumi l’“azzardo fisico” (casinò, ricevitorie, sale scommesse e bingo, macchinette nei locali pubblici…). Via internet, nel 2019 si erano giocati 36 miliardi di euro, impennatisi a 82 nel 2023 (intanto anche il gioco fisico è tornato quasi ai livelli prepandemici): i 4,1 milioni di giocatori “da remoto” accertati due anni fa hanno speso in media 1.926 euro (erano 843 nel 2019), finendo per perdere in totale 4,3 miliardi di euro (sugli 82 giocati). Se si considera l’intero comparto dell’azzardo (a distanza + fisico), nel 2023 le “perdite” sono ammontate a quasi 22 miliardi di euro (più o meno una legge di bilancio dello Stato), essendo state recuperati dai giocatori come “vincite” solo 126 dei 148 miliardi di “raccolta” (cioè di giocate).
Non conviene neppure allo Stato
L’effetto drenante dell’azzardo sulle tasche degli italiani è dunque palese e drammatico. Ma il sistema conviene almeno all’erario dello Stato? In realtà nel 2022, lo Stato ha incassato dai concessionari di giochi e scommesse poco più di 11 miliardi (dato destinato a essere confermato per il 2024) su poco più di 137 miliardi di raccolta (quasi 160 nel 2024): una quota di tassazione molto lieve («estremamente ridotta», anche secondo la Corte dei Conti) e a fronte della quale andrebbero calcolate anche le spese che stato, società e famiglie devono sostenere per affrontare i guasti (sanitari e psicologici) del gioco patologico, oltre agli effetti del mancato investimento di tali ingenti risorse in consumi più redditizi e in settori più produttivi dell’economia nazionale.
In Italia si calcola che giochino d’azzardo, almeno una volta l’anno, circa 18,5 milioni di persone: sporadicamente quasi 13,5 milioni, mentre 5,1 milioni sono i giocatori “abitudinari” e “a rischio”; tra questi ultimi, 1,5 milioni sono “problematici” o “patologici”. E benché in Italia l’azzardo sia vietato ai minori, si calcola che abbia raggiunto tra gli adolescenti la diffusione più alta di sempre: il 53% degli studenti 15-19enni (circa 1,3 milioni, 800 mila dei quali minorenni) ha giocato d’azzardo almeno una volta nel 2023; tra costoro, 120 mila (tra cui 63 mila minorenni) hanno manifestato un profilo problematico.
«Le proposte governative di riforma dell’azzardo fisico e di attenuazione del divieto di pubblicità per le scommesse in occasione di eventi sportivi, di cui si discute in questi mesi fanno temere ulteriori e deleteri passi indietro – afferma Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana e presidente della Consulta nazionale delle Fondazioni ecclesiali antiusura -. Dal punto di vista finanziario e fiscale, inoltre, lo Stato non può arrendersi al ruolo di comprimario, in una partita della quale rischiano di risultare vincitori i concessionari privati e addirittura la criminalità organizzata. Chiediamo invece passi avanti: norme più severe e monitorate, dati più tempestivi e trasparenti, comunicazione più regolata e pubblicità vietata, strategie e servizi di prevenzione e cura delle dipendenze più finanziati e diffusi: ne va della salute, anche morale, del Paese».