Un’università di dimensione nazionale che si qualifica «come un microcosmo internazionale, attraverso la presenza di 2000 studenti che scelgono di studiare venendo dall’estero, con un aumento, in base agli ultimi dati, del 18% » e grazie a partenariati «con oltre 600 università in 82 Paesi e collaborazioni consolidate con 36 dei primi 100 atenei del mondo». Questa l’immagine dell’Università Cattolica delineata dalla rettrice Elena Beccalli, nel suo primo discorso inaugurale con cui inizia solennemente l’anno accademico 2024-2025.
Un momento importante, «che interpella ad aprire nuovi orizzonti», tutto proteso al dialogo e all’approfondimento del rapporto con il continente africano. Prima dell’atto ufficiale svoltosi nell’aula magna gremita, la celebrazione eucaristica nella Basilica di Sant’Ambrogio, presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata da una ventina di sacerdoti, tra cui l’assistente ecclesiastico generale monsignor Claudio Giuliodori, il vicario episcopale di settore don Giuseppe Como, altri assistenti ecclesiastici, docenti di teologia e presbiteri della comunità francescana dei Frati minori.
La celebrazione
Dopo il saluto iniziale di monsignor Giuliodori, attento nel richiamare «lo slancio sinodale della Chiesa e la vita in pienezza» che l’ateneo dei cattolici italiani «ogni giorno cerca di alimentare e offrire», l’omelia dell’Arcivescovo è un appello a non accontentarsi di una «cultura seduta», magari malata di burocrazia, «che abilita a svolgere professioni che siano funzionali al sistema, che incoraggia a sistemarsi in una ripetizione, a trovare rassicurante l’omologazione; una cultura esitante e imbarazzata nel professare la propria originalità, timida nel proporsi, così rispettosa dei luoghi comuni e del politicamente corretto da essere irrilevante».
Al contrario, «noi – ha proseguito – possiamo metterci alla sequela del Signore, cioè essere promotori di una cultura che si alza in piedi, perché trova noioso, frustrante, insoddisfacente stare seduta. Una cultura che segue Gesù, si mette in cammino, si fa carico di una visione originale della fame della gente, del potere dei potenti ed è disponibile a essere impopolare come lo è stato Gesù, perseguitata, missionaria come è stato lui».

«L’invettiva contro la banalità»
Un orizzonte di riferimento che torna poco dopo durante l’inaugurazione, nel saluto proposto sempre da monsignor Delpini, nella sua veste di presidente dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori, attraverso quella che l’Arcivescovo chiama «l’invettiva contro la banalità». Quella «banalità che è l’esito di un modo di studiare le cose che le riduce a oggetti, a risorse da sfruttare. L’Uc, invece, contrasta la banalità perché offre un contesto in cui le cose sono anche segni, gli oggetti sono anche messaggi, le risorse sono anche un dono del Creatore che chiede all’umanità di custodire il giardino piantato da Dio per ospitare uomini e donne chiamati alla felicità».
La banalità, conclude, «è frutto di quel modo di informarsi sul mondo che si riduce a raccogliere e analizzare dati, fotografie, bibliografie. L’Uc contrasta la banalità perché intende la conoscenza come relazione. E gli interventi di questa inaugurazione sono un segno di questo modo di conoscere situazioni, problematiche, speranza del continente africano non solo accumulando dati, ma piuttosto coltivando relazioni».
L’apertura internazionale
Quelle di una grande «famiglia», per usare un termine utilizzato più volte dalla Rettrice per “dire” il profilo dell’ateneo, anche nel rimpianto per le figure del predecessore Franco Anelli e del docente Fausto Colombo (scomparso in questi giorni), «che se vuole essere l’Università migliore per il mondo dovrà convintamente ispirarsi a tre linee ideali: servire il sapere con uno sguardo lungo e integrale per elaborare nuovi paradigmi, far dialogare le discipline per evitare di cadere nella parcellizzazione, educare donne e uomini di valore per insegnare a riconoscere la verità».
«Una visione che presuppone, per la sua attuazione, il coinvolgimento dell’intera famiglia universitaria e assume una valenza più ampia perché si interseca con una generale riflessione sul presente e sul futuro del sistema universitario», secondo Beccalli, che chiarisce la centralità degli studenti «che non sono utenti e ai quali occorre garantire un accesso equo all’istruzione di qualità».
Il “Piano Africa”
Da qui tre questioni definite aperte – i metodi didattici, la ricerca sulla intelligenza artificiale e gli investimenti per colmare le disuguaglianze di natura tecnologica, alla luce del crescente digital divide tra i Paesi – e la risposta con un patto educativo per le nuove tecnologie e la stessa «intelligenza artificiale». Da testare «con il primo banco di prova rappresentato dal Piano Africa dell’Università. Una struttura d’azione, in coerenza con l’indirizzo di apertura dell’Ateneo, che mira a porre il continente africano al cuore delle progettualità educative, di ricerca e di terza missione». -, Le inaugurazioni di tutti e 5 i campus della Cattolica sono quest’anno dedicati all’Africa. Con l’aspirazione, esplicitata dalla Rettrice, «di diventare l’Università europea con la più rilevante presenza in Africa, attraverso partnership con atenei e istituzioni locali, nell’ottica di un arricchimento vicendevole, per la formazione integrale delle persone e la promozione della fratellanza e, non da ultimo, della pacifica convivenza sociale».
Parole a cui ha fatto eco l’intervento di Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca, che ha ribadito la centralità della sfida dell’intelligenza artificiale anche per il governo.
Le prolusioni dei protagonisti africani
Infine, l’Africa è tornata protagonista anche nelle prolusioni del Premio Nobel per la Pace 2011 Leymah Gbowee e di Ernest Aryeetey, già segretario generale dell’African Research Universities Alliance. Tra luci e ombre, giovani che cercano un domani e tanti problemi derivanti anche «da salari bassi e poca specializzazione», come ha sottolineato Aryeetey.
«Il Piano Africa è una grandissima iniziativa – ha spiegato, a margine, la Premio Nobel -. Incoraggio a vedere questo partenariato come una situazione di rispetto reciproco, in uno spirito di umanità collettiva. Al nucleo di tutto questo deve esserci il rispetto della dignità umana: io ho vissuto in Africa tutto il periodo della mia formazione e non ho studiato all’estero. Posso garantire che c’è tanta competenza e conoscenza in Africa tanto quanto nel resto del mondo e l’università certamente trarrà un vantaggio da questo scambio di conoscenze dall’Africa e con l’Africa».