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Percorsi ecclesiali

Il Natale 2024 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 01 - 16 febbraio 2025
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In Duomo

«Mettiamoci in cammino sulla strada che porta alla luce»

Nel Pontificale di Natale l’omelia dell’Arcivescovo dedicata al «popolo della notte», raggiunto per primo dall’annuncio degli angeli: per chi lavora e si sacrifica per gli altri è un messaggio di speranza, per chi invece trama e compie iniquità è un invito alla conversione

di Annamaria BRACCINI

25 Dicembre 2024
L'Arcivescovo durante l'omelia (Agenzia Fotogramma)

«L’annuncio della grande gioia raggiunge per primi quelli che abitano nella notte: la gioia sorprendente e inquieta raggiunge il popolo della notte». Quel «popolo» a cui l’Arcivescovo, nel pontificale del giorno di Natale da lui presieduto in Duomo, dedica il suo pensiero nell’omelia.

Concelebrata dal Capitolo metropolitano, la Messa si arricchisce dei canti tradizionali e dei 12 Kyrie iniziali, peculiari della Liturgia ambrosiana nelle Solennità, eseguiti dalla Cappella musicale della Cattedrale e da un ensemble di ottoni. Ai piedi dell’altare maggiore – su cui, dall’alto, veglia la grande stella luminosa che diffonde la sua luce – c’è la statua lignea del Bambino, lì posta nella notte. Dalla pagina del Vangelo di Luca con l’annuncio dell’angelo ai pastori prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo.  

Il popolo della notte che fa il bene

«Uomini e donne che di notte lavorano, si adattano a ritmi di vita al contrario, vanno a dormire quando gli altri si svegliano. Il loro lavoro custodisce la vita della comunità, veglia sui malati, assicura i servizi essenziali. Talvolta questo popolo della notte vive la consuetudine con le tenebre e con una luce artificiale che stabilisce un sentimento di solitudine, di estraneità alla compagnia della gente. Lavorano per gli altri, ma si sentono come appartati. Eppure, al popolo della notte sono inviati gli angeli per annunciare la grande gioia e, a voi per primi, è assicurata la presenza, l’amicizia, la condivisione del Figlio di Dio. Nella fatica del lavoro quotidiano è presente il verbo di Dio, per donare la grazia di essere figli», scandisce monsignor Delpini, che subito aggiunge. «Vi sono uomini e donne che di notte soffrono, perché sono malati, perché assistono i malati, perché è troppo doloroso sopportare il gemito di un bambino, della mamma, del papà che chiede di stringere la mano, di bere un poco d’acqua. Nella notte vegliano e, tribolati, sono tormentati dalla domanda su dove sia la consolazione di Dio. Ma, nello strazio del dolore, si fa loro vicina la fragilità del bambino, di Gesù, e la sua presenza offre consolazione e ristoro. Ecco dov’è e la potenza del Dio salvatore: in questa prossimità che consola e semina speranza».

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Quelli che amano le tenebre del male

E poi ci sono anche coloro – non si nasconde l’Arcivescovo – «che amano le tenebre per operare il male, che tramano cattiverie, si concedono ai vizi, si sfogano con la violenza. Nelle tenebre risulta più facile ignorare i volti e tormentare i corpi; nel buio sembra possibile ogni trasgressione; si nascondono nella notte gli operatori di iniquità che sanno di non meritare altro che disprezzo e castigo. Anche a questi abitanti della notte e delle tenebre, tuttavia, sono inviati gli angeli per annunciare la parola che dichiara la sconfitta del male, l’apparire della luce che mostra che per tutti viene il tempo per essere strappati alle tenebre, per essere salvati, per essere illuminati da una parola che chiama a conversione e a vita nuova».

E, infine, esiste anche chi abita «della notte le ore insensate, il tempo buttato via, i giorni della giovinezza sprecati, il gusto di esagerare ritenendo noioso il buon senso». Un popolo che coltiva «il desiderio di intontirsi perché la lucidità sembra imporre di guardare in faccia la disperazione»; che vive «l’avidità del divertimento, del piacere irresponsabile perché la responsabilità risulta insostenibile» e al quale, comunque, è annunciata la presenza che dà senso alla vita.

«La presenza che dà motivazione per crescere nelle responsabilità, per farsi carico gli uni degli altri, per non sprecare il tempo e i talenti – perché c’è bisogno di gente che si faccia avanti per mettersi a serio del bene di tutti – è Cristo Signore».

Particolarmente quest’anno «l’annuncio di gioia si apre alla speranza», conclude l’Arcivescovo, «Con l’apertura della porta santa e l’inizio del Giubileo, papa Francesco ci invita a essere pellegrini di speranza, di giorno di notte, nei momenti della letizia e della prova; invita a mettersi in cammino per la conversione e il perdono. Con questo inizio (che per la Chiesa ambrosiana sarà domenica 29 dicembre), ci viene annunciato il motivo della speranza: vi è stato dato un Salvatore, mettetevi in cammino, gli angeli sono venuti a chiamarvi. Dalle vostre notti ci sia una strada che porta alla luce, pellegrini di speranza».

Parole, queste, che tornano nel saluto al termine della celebrazione, prima della benedizione papale con l’indulgenza plenaria, impartita dall’Arcivescovo per facoltà ottenuta da papa Francesco nella forma consueta della Chiesa e delle note finali dell’Adeste fideles che inondano le navate: «Desidero augurare un lieto Natale che sia cogliere la luce che ci visita qualunque sia la nostra notte», dice monsignor Delpini, rivolto all’assemblea e a tutti coloro che non sono in Cattedrale, auspicando anche di vivere i giorni dell’anno santo «con gioia, gratitudine e con quella serenità che viene dalla pace del Signore».