«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14): la lode corale degli angeli che l’evangelista Luca descrive, e che segue immediatamente l’annuncio ai pastori della nascita di Gesù, mette in stretta relazione l’incarnazione di Dio nel figlio e il dono essenziale della pace agli uomini. La gloria di Dio per compiersi non può che generare un’umanità pacificata: ma questo dono richiede la collaborazione dell’uomo, che non è destinatario passivo di questo disegno, ma co-protagonista. Nel Natale, Gesù non ci chiede solo di contemplarlo e di gioire, ma di prendere posizione su questa sua venuta tra noi, interpellando la nostra libertà.
La storia ha visto sovente il discostarsi delle generazioni che si sono succedute da questa proposta di alleanza. La guerra, in particolare – che segna anche quest’anno, drammaticamente, il Santo Natale – esprime in maniera emblematica l’atteggiamento egoistico che genera violenza, sopruso, morte, ingiustizie, sofferenze. Che avvenga per ragioni dichiarate “giuste” poco cambia rispetto all’abisso di disumanità che porta sempre in sé e produce attorno a sé.
Gli anni recenti, alle tante guerre dimenticate e lontane geograficamente da noi – «la terza guerra mondiale a pezzi», secondo la formula sintetizzata da papa Francesco –, hanno visto aggiungersi i conflitti bellici dentro e ai confini dell’Europa oltre che la ripresa in Medio Oriente, richiamando con urgenza i credenti a un esercizio di discernimento e azione nel quale le virtù teologali ci possono orientare.
Osare la pace
Va ribadito anzitutto che la pace va perseguita a ogni costo: più il contesto è difficile maggiormente vanno individuate le sue buone ragioni e tutte le strade per raggiungerla. Il sopruso di una parte sull’altra (per esempio l’aggressione russa all’Ucraina) o la presenza di complesse “ragioni” teoricamente ammissibili per le parti interessate (il pensiero corre alle vicende storiche tra palestinesi ed ebrei) richiedono un di più nell’esigente forma di carità, la politica (san Paolo VI), che deve tornare a esercitare il suo primato.
Troppo spesso i potentati politici ed economici, il posizionamento strategico-militare e il condizionamento esercitato da media “pilotati” hanno portato a un ridimensionamento del ruolo degli organismi sovranazionali, a partire dall’Onu e dall’Unione europea, oltre che condizionare, inquinandola, l’informazione ai cittadini. Complici anche le semplificazioni e gli opportunismi tattici contingenti, anche tra la nostra classe politica abbondano demagogia e approcci interessati a delegittimare tali organismi, sovente per meri calcoli elettorali. Occorre affermare con forza che oggi non c’è un bene comune – a partire dalla pace – perseguibile per il nostro Paese che non si intreccia nel bene comune più ampio dell’Europa, del bacino del Mediterraneo, della solidarietà internazionale. Lo richiamano i principi della nostra Carta costituzionale e le numerose convenzioni internazionali alle quali il nostro Paese ha aderito. Ma lo richiede soprattutto la nostra appartenenza alla comunità umana. L’Italia e l’Europa non sono la sommatoria di egoismi individuali e collettivi, ma comunità di destino chiamate a promuovere la dignità di ogni persona, in ogni angolo del pianeta.
Pregare la pace
Per i credenti pregare non è un modo di allontanarsi da quanto accade, ma dialogare con Dio tramite suo figlio e invocare il suo aiuto per avere il suo sguardo sulle nostre vicende. Invocare la pace per il nostro mondo, non per sostenere le ragioni degli uni o degli altri, significa esercitare un gesto di gratuità per tutti, oppressi e oppressori, per chi ha buone ragioni e chi meno o nessuna. È difficile pregare con questo atteggiamento, ma la fede esige di non essere noi misura di ciò che chiediamo a Dio. Al momento del congedo dalla nostra diocesi, alla vigilia della partenza per Gerusalemme, il cardinale Carlo Maria Martini, oltre alla passione per gli studi, adduceva come ragione della scelta di quel luogo la «volontà di pregare sostando dentro quel conflitto»: non esprimeva un giudizio, ma la consapevolezza che il luogo culla e simbolo per eccellenza delle tre religioni monoteiste pur confliggenti era quello appropriato, e occorreva stare in mezzo, pregando.
L’arcivescovo Mario Delpini, nella Proposta pastorale Basta. L’amore che salva e il male insopportabile, oltre ad argomentare al punto 2.3 il “Basta con la guerra”, nella prospettiva dell’anno giubilare e per evitare una frenesia del fare, ci invita nel mese di gennaio a rallentare le attività «per fare spazio a una preghiera più distesa e conversazioni più gratuite». Crediamo che il Mese della pace che caratterizza l’inizio dell’anno – e al quale ci richiamano sempre i ragazzi dell’Acr – sia l’opportunità di mettere al centro l’urgenza della pace assieme all’attenzione ai fratelli che soffrono a causa di altri fratelli. E sarebbe significativo esercitare non solo momenti comunitari di discernimento e preghiera, ma cogliere l’occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) per conoscere le presenze concrete di altre confessioni cristiane e religioni nei nostri territori e pregare insieme con loro in maniera più consapevole e meno estemporanea. Anche questi sono cammini di pace.
Sperare la pace
Sperare la pace non significa esercitare un ingenuo ottimismo o confidare che il tempo e i potenti signori della guerra (accompagnati dalle industrie belliche) per qualche fattore particolare depongano le armi. Prendiamo a prestito le riflessioni di Charles Peguy ne Il portico del mistero della seconda virtù: «La Fede non vede che quello che è. E lei (la Speranza) vede quello che sarà. La Carità non ama che quello che è. E lei (la Speranza) ama quello che sarà. Dio ci ha fatto speranza. Ha sperato nell’ultimo dei peccatori, che lavorasse un po’ alla sua salvezza. Lui ha sperato in noi, sarà detto che noi non spereremo in lui?».
La speranza, la più “piccola” delle virtù teologali ma che sospinge le altre due, è confidare insieme in Dio, tramite una fede vissuta, e come lui credere nell’uomo che conosciamo compiutamente esercitando la carità che Gesù ci ha indicato.
È questo l’augurio di pace che rinnoviamo a tutti, in ogni angolo del mondo, in occasione del Santo Natale, giorno in cui Dio ci dona Gesù, uomo nuovo, per fare di noi donne e uomini nuovi.
La Presidenza diocesana dell’Azione Cattolica Ambrosiana