Nel suo Discorso alla Città l’Arcivescovo dice: «La gente è stanca: non tanto di lavorare, ma di un lavoro che non basta per vivere, è stanca di un’amministrazione spesso miope, della vita frenetica e di quell’impotenza di fronte a un clima deprimente che avvelena i pensieri, i sogni, le emozioni dei più fragili, che induce tanti adolescenti a non desiderare la vita. Stanca di tutte le difficoltà che s’incontrano nella vita quotidiana». Questa stanchezza si percepisce a Milano? È Giangiacomo Schiavi, storico giornalista del Corriere della Sera, a rispondere questo interrogativo, da gran conoscitore della realtà metropolitana.
Come legge questa analisi dell’Arcivescovo?
La sensazione per molti cittadini è quella di essere stranieri nella loro città. Milano negli ultimi anni ha avuto un’attrattività enorme, soprattutto è diventata una città internazionale e turistica, e questa è stata una felice scoperta per la metropoli. Ma dentro questo trend è apparsa come una distrazione, un perdere di vista i problemi di fondo della città, da sempre legati alle precondizioni della vivibilità – la sicurezza, i trasporti, la casa -, e quindi a tutto quello che contribuisce a creare l’arte della convivenza, riuscendo a mettere insieme la giustizia, l’attenzione alla sofferenza, la bellezza, la saggezza. Tutti ingredienti, questi, di una società sana.
È possibile tornare a mettere a fuoco prima di tutto i problemi della gente?
Negli ultimi tempi la sensazione è che si siano rese opache alcune lenti attraverso cui si guarda la città: c’è un’attenzione molto forte sugli effetti, un po’ alla Truman Show, e invece una sorta di rarefazione di quelle attenzioni – chiamiamole sociali – molto importanti per la metropoli. Quindi c’è un distacco apparente, ma anche molto reale, tra il cittadino e chi dovrebbe creare il ponte delle istituzioni. L’Arcivescovo lo evidenzia molto bene quando dice che le amministrazioni devono valorizzare le risorse della società civile, rendere meno asfissianti e complicate le questioni burocratiche, agevolare anche il modo di vivere di tanti anziani che in questa città si sentono soli e abbandonati. Infatti permangono tante solitudini e tante povertà che sono addirittura invisibili.
Il titolo del Discorso è «Lasciate riposare la terra», naturalmente con un accenno al Giubileo, ma monsignor Delpini dice anche «Lasciate riposare la città». Milano, “città del fare” per eccellenza, si può riposare? E come?
Lo ha detto anche il sindaco Beppe Sala: Milano ha un ritmo diventato vertiginoso, sfuggito di controllo e deve rallentare un po’, necessariamente. Per utilizzare una metafora automobilistica, possiamo azionare il pedale dell’acceleratore o il freno, ma la sensazione in generale è che ci sia una “frizione slittata” che sta creando una sorta di divaricazione sociale sempre più forte, aumentando le disuguaglianze e gli squilibri tra chi è povero e chi è benestante. Tra chi vive in una condizione ideale della città e chi fa sempre più fatica. L’Arcivescovo ha colto bene che si è fermato l’ascensore sociale: oggi chi si assesta su un reddito tra i 1000 e i 1500 euro al mese vive male, vive un disagio non capito.
Che cosa si potrebbe fare a breve, di fronte a una situazione che, sempre per parafrasare il Discorso, spesso non sa valorizzare le risorse della società civile e le iniziative della comunità?
Bisogna trovare un nuovo vocabolario. La sensazione è di smarrimento e bisogna riconnettere la città e i suoi saperi a gesti e comportamenti alla portata di tutti. Quindi bisogna rompere la narrazione globale, un po’ feroce, e temperare quel capitalismo che non deve essere più rapace, ma coinvolgente, quindi rapportato ai bisogni di una città e di una comunità che è cambiata e che non è soltanto quella di internet, delle ideologie, dei pregiudizi di razza o di casta, ma è una comunità che vuole parlare un linguaggio comprensibile a tutti. Così come è stato questo ultimo Discorso, davvero molto bello.