Sono tanti i fedeli che si appassionano e dedicano parte del loro tempo libero al canto liturgico. Ma cosa spinge le persone a uscire la sera ogni settimana per le prove e a destinare ore allo studio di partiture?
È il tema della copertina di dicembre de Il Segno: «Dare voce e fiato alla fede», recita il titolo del servizio. Ne parlano Francesco Meneghello, docente nella scuola pubblica a Mantova, direttore di coro e compositore (autore, tra l’altro, dell’inno del Giubileo), e don Riccardo Miolo, direttore di coro, collaboratore del Servizio per la Pastorale liturgica della Diocesi per la musica sacra.
«Senza la musica ci sentiamo persi – dice Meneghello -, una canzone ti può cambiare la giornata». E, ancora: «Vivere, ascoltare, produrre, condividere musica è senz’altro un mezzo efficace di senso, poiché include socialità, gratuità, bellezza, estetica, ricerca, memoria, espressione di sé, appartenenza, benessere fisico e psichico. Come una “coccola” che ci si regala nel turbinìo dell’oggi». Tutto questo spiega perché si stiano moltiplicando le compagnie amatoriali, anche di buon livello, che hanno come obiettivo il fare musica in sé, attingendo a piene mani dal repertorio sacro.
Meneghello auspica una formazione corale di base, tramite progetti come “Te laudamus” della Chiesa ambrosiana. «Per i cori nella Diocesi serve un salto di qualità», aggiunge don Miolo. I cori parrocchiali, realtà un tempo diffusissime, sono nati con il compito di aiutare l’assemblea a celebrare cantando: il canto, come ha ribadito più volte l’arcivescovo Delpini, è parte fondamentale della liturgia.
«Molte parrocchie – afferma Miolo – cercano di favorire la passione per il canto fin dalla più tenera età, organizzando cori di bambini che animano le Messe. Uno sforzo notevole, che merita un encomio, ma che ha anche alcuni limiti. Si tratta di cori raramente seguiti da musicisti e ancor più raramente da persone con una formazione specifica sul canto corale. Invece, per curare la voce dei piccoli sarebbe richiesta una competenza specifica sulla vocalità infantile. In Italia manca una cura dell’educazione dei bambini per quanto riguarda la musica in generale e, in particolare, la musica liturgica. Una delle poche eccezioni, anche se non l’unica, è quella, illustre, della Cappella musicale del Duomo, dove i bambini sono educati fin da piccoli al canto liturgico».
Anche i cori liturgici degli adulti hanno in genere un carattere non professionale: «Ci sono tante realtà di buona volontà che con costanza si trovano tutte le settimane per provare, un unicum tra gruppi parrocchiali, che oggi, tendenzialmente, non si incontrano più con questa frequenza. Devo dire, però, che si sente molto la diversità tra le poche realtà in cui c’è una persona competente sulla musica corale e quelle gestite solo da persone di buona volontà. Ma attenzione: la competenza in sé non basta, perché il coro liturgico non è il luogo dove il professionista dà sfoggio della sua abilità. Quando alla guida ci sono persone competenti, ma anche inserite nella comunità cristiana, allora il coro fa un salto di qualità».
Per questo la Diocesi ha puntato molto sulla formazione: «Tutte le proposte del Servizio per la pastorale liturgica – spiega don Miolo – mirano a formare non tanto specialisti, ma persone con una competenza interdisciplinare, che copra non solo l’aspetto musicale e vocale, ma anche ambiti come quello liturgico, spirituale, pastorale, pedagogico».