«Oggi dobbiamo renderci conto che nonostante i grandi passi avanti fatti nella lotta alla mafia, in tema sia di consapevolezza sia di risultati investigativi, le mafie esistono, si trasformano, sono abilissime ad adeguarsi a quelli che sono i nuovi contesti socio-economici». Fiammetta Borsellino parla davanti a oltre un migliaio di studenti di 52 scuole lombarde, più altrettanti in collegamento streaming, dall’Auditorium di Milano. L’evento è stato organizzato lunedì 9 dicembre dal Centro Asteria, realtà in prima linea nel proporre alle nuove generazioni testimoni che possano aiutarli a comprendere nel profondo questioni decisive anche per il loro futuro.
«Per amore della verità» il tema della mattinata – moderata da Lucilla Andreucci, dell’associazione Libera – proposto alla figlia di Paolo Borsellino, magistrato di Palermo assassinato nella strage di via D’Amelio, 19 luglio 1992, quasi due mesi dopo l’uccisione del suo fraterno amico Giovanni Falcone.
Da oltre sette anni Fiammetta ha deciso di rompere il silenzio, dopo le tante commemorazioni di facciata e i grandi depistaggi, che ancora oggi gettano ombre inquietanti su tutta la drammatica vicenda. Ha scelto di prendere il testimone di suo padre e testimoniare quei valori di giustizia, senso dello Stato, legalità, umanità, nell’attenzione ai giovani, per una scelta di vita consapevole: «Ho voluto spezzare quella catena di commemorazioni sterili, perché la vera memoria non è fatta esclusivamente di commemorazioni, ma di atti concreti. E tra questi, per onorare chi ha sacrificato la propria vita, c’è proprio quella ricerca della verità di cui noi tutti abbiamo diritto, nel caso di via D’Amelio come in tanti altri misteri e fatti tragici che hanno caratterizzato la storia del Paese».
Una lotta che parte dai giovani
Un’attenzione particolare alle giovani generazioni era «il suo pallino, perché aveva capito che la lotta alla mafia parte principalmente dal sensibilizzare i ragazzi a dire no e soprattutto ad avere la forza di scegliere da che parte stare, perché le mafie si nutrono principalmente del consenso giovanile. Quindi questo gruppo di magistrati che negli anni Ottanta cominciò a occuparsi di mafia parallelamente si distinse per questo impegno civile che consisteva proprio nell’andare nelle scuole e parlare di questo cancro che opprimeva e continua ad opprimere. Il primo a parlare ai giovani fu il magistrato creatore del Pool antimafia, Rocco Chinnici. La vera lotta alla mafia, diceva mio padre, si fa con la scuola, perché la scuola ti dà veramente consapevolezze di quelli che sono i tuoi diritti, ma anche i doveri. La scuola ti dà la possibilità di scegliere da che parte stare».
«Ho un grandissimo ottimismo – dice Fiammetta Borsellino – perché ogni giorno fare incontri con centinaia di studenti denota l’enorme sensibilità che c’è verso questo tema, la presa di coscienza anche da parte di chi non era nato all’epoca. Sentire da un ragazzo che ha scelto di fare il magistrato, perché si è imbattuto nella storia di mio padre, per me è una vittoria della vita sulla morte. Ma non bisogna abbassare il livello di guardia, perché quando si allenta l’attenzione le organizzazioni si modificano e si riorganizzano. Quindi è fondamentale parlare di mafia, a scuola, a casa, con gli amici, perché fa sì che si prenda coscienza del problema e si può arrivare a una fine».
Significativo che se ne continui a parlare a Milano, perché le organizzazioni criminali da decenni non sono più un fenomeno circoscritto al Sud, ma la loro pervasività è in costante aumento nelle province del Nord, in particolare in Lombardia.
La forza della mafia e la debolezza dello Stato
«Diceva Falcone che la mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine, dipende dall’impegno di ciascuno», sottolinea Borsellino, perché è nelle scelte quotidiane, anche piccole, che si combatte la mafia, la sua mentalità fatta di violenza e intimidazione. Anche avendo ben chiaro che prospera con la droga: «Come diceva Falcone, la mafia insegue il denaro. Quindi dobbiamo sempre chiederci da dove vengono i soldi. Dove c’è droga c’è mafia, costituisce il principale business delle organizzazioni criminali e continua ad essere una piaga. Quindi dire no alla droga vuol dire no alla mafia».
«L’organizzazione criminale è dotata di regole e di soldati che spesso vengono reclutati proprio tra i giovani. Basa il suo potere su un fortissimo controllo del territorio e dà illusoriamente risposte ai bisogni della popolazione dove lo Stato è tragicamente assente. Quindi più lo Stato è debole più l’organizzazione è forte. Ma soprattutto ottiene il suo consenso dettato dalla paura attraverso azioni di violenza e di terrore. Le attività sono finalizzate per l’accumulo di denaro e di potere attraverso traffico internazionale di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, il gioco d’azzardo. Ma anche il potere di intrattenere alleanze con uomini all’interno di settori strategici della politica e dell’economia».
La vita in famiglia
Commovente il ricordo di suo padre, non solo magistrato, «ma anche un padre, un figlio, un marito. Nonostante il suo impegno lavorativo di quegli anni, è stato un padre molto presente perché ha avuto il tempo giusto da dedicare alla famiglia. Ci ha molto seguito per esempio negli studi: era lui che andava sempre alle riunioni con i docenti, che ci faceva ripetere le materie all’università. Era un amante della letteratura, studiava il tedesco, come molti in quell’epoca conosceva la Divina commedia a memoria».
«Palermo è la città dove sono nata, dove ho deciso di rimanere nonostante tutto con i miei fratelli, Lucia e Manfredi, e mia mamma Agnese – continua Fiammetta -. Siamo stati una famiglia unita che ha condiviso in pieno l’attività lavorativa di mio padre, una squadra che non si è mai tirata indietro, anche quando il pericolo l’abbiamo potuto toccare con mano. È ovvio che questa precarietà che ha investito l’attività lavorativa di mio padre, questa vicinanza costante col pericolo, ha coinvolto anche noi. Però mio padre, nonostante fosse cosciente del sacrificio che come famiglia andavamo a intraprendere insieme a lui, non ci ha mai privato di quella libertà che ha sempre contraddistinto la nostra infanzia e adolescenza. Non abbiamo vissuto sotto una campana di vetro, perché questo ci doveva permettere di innamorarci della vita. Questo atteggiamento positivo ci ha permesso di guardare avanti senza soffermarci su questa presenza costante della morte».
Racconta Fiammetta: «Ha avuto sempre il desiderio di cambiare in meglio, questo è stato il fine del suo lavoro di magistrato, riuscire a liberare il territorio dalla schiavitù data dall’oppressione mafiosa. Per fare questo bisogna avere una visione, non la fretta di ottenere risultati immediati. È stato un lavoro che lui ha fatto nella consapevolezza che i risultati li avrebbero sicuramente viste le future generazioni; portato avanti con l’umanità, non con la rigidità burocratica, non era un mero applicatore di regole e di leggi, ma cercava veramente di instaurare anche con chi aveva deciso di intraprendere la via sbagliata di far uscire sempre il meglio».
Depistaggi e omissioni
Sul fronte delle indagini sulla strage di via D’Amelio, invece si sono realizzate enormi azioni di depistaggio: «La strage è stata azione vendicativa, però non è solo frutto della manovalanza di Cosa Nostra. È stata possibile anche grazie a un comportamento omissivo di chi potendo fare qualcosa per evitarlo in realtà non ha fatto nulla, alla complicità di menti esterne, quelle che Falcone definiva “menti raffinatissime” che sicuramente avevano una convergenza di interessi con Cosa nostra rispetto all’eliminazione di una persona scomoda, non solo per la mafia, ma anche per tutta una serie di persone che avevano interessi collaterali e coincidenti».
Infine, un appello accorato a perseguire la verità su questi fatti tragici: «La verità viene compromessa, ma è anche un diritto irrinunciabile che si deve pretendere soprattutto dopo così tanti anni, di queste che sono ferite collettive, non più riguardanti singole famiglie. È un diritto costituzionalmente garantito e quindi irrinunciabile».