«Conoscerlo a poco a poco, sfogliarlo, guardarlo, viverlo, amarlo». È così che bisogna accogliere la II Edizione del Messale Ambrosiano che, atteso dal 1976 e solo aggiornato nel 1990, entra in vigore nella prima Domenica dell’Avvento secondo il Rito della nostra Chiesa. Con la solenne celebrazione in Duomo, però preceduta, nella sera della Vigilia di inizio Avvento, dalla Veglia presieduta dall’Arcivescovo nell’oratorio di San Rocco a Seregno, nella Zona pastorale di Monza.
Ed è appunto il vescovo Mario Delpini, con accanto il vicario episcopale di Settore, don Giuseppe Como, il responsabile del Servizio di Pastorale Giovanile, don Marco Fusi, alcuni sacerdoti della città e don Riccardo Miolo, collaboratore del Servizio di Pastorale Liturgica, a indicare quale atteggiamento tenere di fronte al ponderoso, 1600 pagine, e poderoso volume – considerato l’impegno profuso dai liturgisti per 6-7 anni e non solo da loro – che «è occasione per riprendere il tema del celebrare», come scrive lo stesso monsignor Delpini nella Proposta pastorale per l’Anno in corso. Qualcosa di più di uno strumento liturgico, per quanto fondamentale «nella sua umiltà di servizio», ma da «respirare» quotidianamente. Come ne sono convinti i giovani, definiti dall’Arcivescovo in apertura «germoglio e futuro della nostra Chiesa ambrosiana», che si ritrovano, provenendo anche da altre zone della Diocesi, per la Veglia dal titolo molto significativo, “Celebriamo il Signore con Arte”.
La Veglia
Là dove «arte» significa la bellezza della pubblicazione (l’edizione di Centro Ambrosiano-Itl Libri è arricchita da oltre 150 immagini), ma anzitutto l’arte del celebrare bene «la gioia» come «scuola di preghiera», secondo quanto si legge nel Decreto di promulgazione letto, alla porte della chiesa, dal vescovo Mario che consegna fisicamente il Messale nelle mani di alcuni giovani che lo precedono, in processione, verso l’altare maggiore prima del Rito della luce.
Un gesto suggestivo, seguito con il canto animato dal coro delle realtà giovanili seregnesi, e seguito da tutti i partecipanti, molti dei quali hanno preso parte, negli anni scorsi, ai “Tavoli dei Riti” nel contesto dell’iniziativa regionale “Vescovi e Giovani”, promossa dalla Conferenza Episcopale Lombarda.
Collocato, nella sua sede, in altare, il Messale è ancora il protagonista attraverso la lettura del primo e del secondo brano proclamati nella celebrazione della Parola, tratti, rispettivamente, dal Proemio della nuova edizione e dalla Lettera del vescovo Mario agli animatori musicali.
Dopo la pagina di Vangelo di Giovanni 1, 6, l’omelia parte «da una domanda e da un desiderio».
Imparare a pregare
«C’è ancora la domanda che i discepoli un giorno hanno avuto il coraggio di rivolgere a Gesù, “Signore insegnaci a pregare?”; c’è ancora il desiderio di accogliere il Regno di Dio che è la luce del mondo per diventare figli di Dio? Siamo troppo soli. Abbiamo bisogno di pregare: abbiamo una speranza troppo piccola, il nostro amore è troppo fragile, precario, confuso. Questa celebrazione è l’occasione per dire che cosa e chi possono insegnarcelo: lasciamoci istruire dalla preghiera della Chiesa», scandisce l’Arcivescovo.
Ma come imparare in modo corretto? Immediata la risposta. «Il Messale è lo strumento per la celebrazione della Messa che è una scuola insostituibile di preghiera». Da qui alcune «attenzioni» rivolte ai ragazzi. «Noi non sappiamo nulla di Dio – prosegue infatti, il vescovo Mario -, ma Gesù ce lo ha rivelato e, quindi, non possiamo pregare se non in Gesù. Preghiamo per Cristo, impariamo a dire qualcosa di Lui; preghiamo in ascolto di Cristo, perché ci conduce al Padre». Ma, osserva, «viene da crederci se noi siamo capaci di pregare da cristiani. Mi viene da pensare che quando diciamo la volontà di Dio, abbiamo in mente qualcosa di diverso da ciò che Cristo ci ha rivelato e che quando ci facciamo domande su perché Dio non c’era in quel momento, in quell’incidente, in quella guerra vuole dire che non abbiamo ascoltato ciò che Cristo ha detto della volontà di Dio».
La preghiera espressione del popolo di Dio
Quindi, proprio perché «la preghiera cristiana è celebrazione del popolo di Dio, essa non è mai solitaria, individualistica, anche quando è personale». E il Messale è lo strumento per esprimere con una voce comune questo pregare insieme: «sempre si prega per essere gli uni per gli altri e un unico popolo».
Sottolinea, non a caso, l’Arcivescovo. «Viene da chiedersi se noi partecipiamo alla liturgia solo per un ruolo da ricoprire; se il radunarsi in assemblea esprime la persuasione di essere il popolo di Dio, contrastando l’individualismo di chi si immagina che deve andare in chiesa solo per fare il suo dovere. Viene da domandarsi se, quando si dicono le parole prescritte dal Rito, il pensiero, il desiderio, il sentimento, l’affetto, si uniscano alle parole del sacerdote e di chi rappresenta la comunità, oppure siano una reazione meccanica senz’anima».
Nelle celebrazioni nessuno è spettatore
Al contrario, «la preghiera cristiana vissuta nell’assemblea liturgica è espressione della Chiesa con la diversità dei suoi carismi e ministeri perché il popolo di Dio non è un gregge uniforme di tante pecore tutte uguali e in questa dinamica siamo tutti coinvolti; ciascuno è vivo in questo dialogo corale, avendo un compito che è per tutti. Mi sorprende che, talvolta, i chierichetti, i ragazzi, la gente non cantino quando canta il coro. Nessuno è semplicemente uno spettatore. La preghiera si nutre della liturgia, perché ci dice che tutto il tempo è tempo di Dio e dell’uomo».
Il richiamo è «ai testi del Messale intensi di teologia, tradizione, poesia» e «alla singolare ricchezza del calendario liturgico ambrosiano, in cui non esiste il cosiddetto “Tempo ordinario”» – come nel Rito romano – «perché ogni tempo è tempo di grazie, è tempo per celebrare il mistero pasquale».
Al termine dell’intervento, l’Arcivescovo cita la Preghiera per la Pace tratta dal formulario della Messa per la Pace, presente nel Messale. “O Dio tu sei la nostra pace, ma non ti può comprendere chi semina discordia e non ti può accogliere chi ama la violenza; dona ai costruttori della pace la forza di perseverare nel loro proposito e, a quelli che la turbano con i loro pensieri e le loro azioni di essere liberati dall’egoismo e dall’odio”. «Il Messale può insegnare tante cose a chi lo utilizza con sapienza e a chi ascolta con attenzione e celebra i santi misteri con devozione e fede».
Sono, allora, ancora i gesti simbolici e a evidenziare come il Messale dia forma alla preghiera personale – con lo spostamento del volume ai piedi del presbiterio e la consegna a ciascun giovane di un piccolo cartiglio con un’espressione del Messale – e a quella comunitaria, per cui i ragazzi, che leggono le intenzioni della preghiera universale, si avvicinano a un braciere posto ai piedi dell’altare e infondono l’incenso.
Insomma, «un bell’esercizio di creatività liturgica, voluto e ben organizzato», come nota, prima della benedizione finale e di un gioioso momento conviviale, don Giuseppe Como.