Si è aperta col messaggio del cardinale Kurt Koch, presidente del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, la giornata dedicata al Concilio di Nicea, a 1700 anni dalla sua celebrazione, promossa dalla Conferenza Episcopale di Lombardia (presenti numerosi vescovi, con il segretario monsignor Giuseppe Scotti e i rappresentanti delle dieci Diocesi della Regione) e svoltasi nel Centro Paolo VI di Brescia mercoledì 6 novembre.
Dopo l’apprezzata riflessione del vescovo di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada, ha introdotto i lavori il vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti, inquadrando il tema nella prevista commemorazione che vedrà il suo apice nell’incontro in Turchia tra papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo I, che ha inviato al convegno un’ampia lettera. Centrale l’intervento del vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, sul «dire Nicea oggi e domani per dire la Chiesa e l’uomo nel mondo e nel tempo», preceduto dall’indagine storica di Cristina Simonelli e seguito da Riccardo Burigana con l’attenzione alla «forza del dialogo ecumenico alla luce di Nicea»”.
Un esigenza che viene dal passato
Nel linguaggio filosofico esiste un concetto affascinante: Eingedenken. È in tedesco perché proviene da un’idea nata dalla prosa espressionista del giovane Ernst Bloch – l’autore de Il principio di speranza – e passata poi a un altro filosofo tedesco, Walter Benjamin, che ne ha fatto un concetto cardine del suo pensiero. Senza dilungarsi nell’etimologia, il termine è stato tradotto sapientemente in italiano non letteralmente come «rimemorare», ma come «immemorare», sottolineando più l’atto capace di portare alla luce le potenzialità inespresse che giacciono nel passato. Eingedenken è paradossalmente «ricordo del futuro»: irruzione nel presente di potenzialità inevase che attendono una redenzione. Questa irruzione nel presente di un’esigenza che viene dal passato è un’esperienza che possiamo vivere a livello personale, ma è ancora più impattante in quanto parti di una comunità, di una Storia condivisa.
È l’esempio dell’Angelus novus di cui parlava Benjamin: un angelo trascinato da un vento forte verso il futuro, un futuro a cui volge le spalle mentre tiene lo sguardo rivolto al passato come «una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine» e mantiene però l’ansia di trattenersi e destare i “morti” per rendere loro giustizia.
Una qualità sinodale
Da questa prospettiva, tornare a riflettere su Nicea 325-2025 («un Concilio da non dimenticare», recitava il sottotitolo del convegno) è per l’appunto ricordo di futuro. Un’eco e una visione confermate anche dalle parole di monsignor Malvestiti, referente Cel per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso nella sua introduzione ai lavori: «L’interpretazione del passato e del presente, nonché le opportunità future di tale cammino, registrano ai nostri giorni una preoccupante crisi per quanto sta avvenendo alle porte d’Europa e in Medio Oriente. Nicea rispose al mandato di Gv 17,21: ut unum sint».
Il ritorno, quindi il futuro, all’eredità di Nicea – sotto ogni punto di vista: storico, filologico, politico e filosofico – con il Giubileo che attende l’anno 2025, contribuirà alla qualità sinodale della missione ecclesiale nel mondo, come auspicato da papa Francesco. In particolare, trasformando in destino la casualità della celebrazione comune della Pasqua. E non è forse questo l’atto d’amore ecumenico più nobile? Trasformare una contingenza presente in un futuro stabile, gravido del ricordo del simbolo niceno-costantinopolitano. E non è forse questo un segno visibile e concreto per i molti che oggi si sentono esclusi, disinteressati e indifferenti a questi argomenti? Un segno di pace e concordia della comunità cristiana per tutto il mondo, quel mondo che assomiglia molto alla «sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine», una testimonianza autenticamente apostolica.