Ambrogio e Martino sono i due «giganti» del IV secolo, al di qua e al di là delle Alpi. I due santi probabilmente non si sono mai incontrati, ma molti sono i legami biografici, storici, liturgici, devozionali, e perfino folkloristici, tra il vescovo di Tours e la Diocesi di Milano.
A chi ammira il magnifico mosaico dell’abside della basilica di Sant’Ambrogio appare una scena grandiosa, con al centro il Cristo pantokrate e ai lati due scene che raffigurano il miracolo dell’ubiquità di sant’Ambrogio.
L’episodio non è forse tra i più noti della vita del patrono di Milano. Ne parla tuttavia Gregorio di Tours nel suo scritto su Le virtù di san Martino, redatto nel VI secolo. Vi si legge, in particolare, che durante una celebrazione eucaristica, Ambrogio si assopì: i presenti, non osando disturbare il vescovo, pazientarono per oltre due ore, ma alla fine lo svegliarono.
Fu allora che Ambrogio svelò quanto, per divino prodigio, aveva visto e compiuto durante il sonno: «Sappiate – egli disse – che il mio fratello vescovo Martino se n’è andato da questo corpo, ma io gli ho offerto il mio ossequio partecipando ai suoi funerali ». Il racconto si conclude con la gustosa osservazione che i presenti, «stupiti e ammirati, annotarono il giorno e l’ora» dell’evento, trovando presto conferma in altre testimonianze delle parole di Ambrogio. In realtà noi oggi sappiamo che quando Martino venne sepolto, l’11 novembre 397, Ambrogio era già scomparso da alcuni mesi, ed è evidente quindi che la leggenda riportata da Gregorio ha trasposto le date.
È quello che viene rappresentato nei mosaici di Sant’Ambrogio: a sinistra, nella prima scena, vediamo il vescovo di Milano partecipare alle esequie di Martino a Tours; mentre a destra è raffigurato il momento in cui Ambrogio sta per essere svegliato in una chiesa a Mediolanum, come è scritto.
Nonostante i molti rifacimenti subiti nel corso dei secoli, questo mosaico absidale rivela ancora tutta la sua potenza espressiva, realmente trionfale. Fu realizzato nel IX secolo, quando la basilica santambrosiana fu oggetto di ampi lavori, a cominciare dall’altare d’oro firmato da Vuolvinio e voluto dall’arcivescovo Angilberto II.
Tutto questo, insomma, secondo un preciso programma politico, oltre che religioso, che poneva nel luogo più visibile a tutti – il catino absidale della basilica – un episodio apparentemente «marginale» della vita di Ambrogio, e che invece ribadiva il legame tra i franchi e i milanesi, entrambi qui rappresentati dai loro patroni.