Il Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, ha presieduto domenica 3 novembre la Santa Messa al Santuario del Sacro Monte di Varese, in occasione della storica visita di san Giovanni Paolo II, più di quarant’anni fa.
Nel corso dell’omelia, Parolin ha ricordato come all’epoca il pellegrinaggio era stato celebrato in occasione dei 400 anni della morte di san Carlo Borromeo. Di quel momento, nel 1984, ha ricordato in particolare la salita del Pontefice, mentre recitava il rosario lungo il viale delle Cappelle. «Probabilmente ci sono fra di noi persone che erano presenti in quella stupenda giornata. Oggi, con uguale commozione, abbiamo ripercorso lo stesso cammino compiuto da un Papa Santo e impregnato altresì della fede e della devozione di quanti, lungo i secoli, sono venuti quassù per onorare la Santissima Vergine, madre di Dio e madre nostra, e lo abbiamo fatto pregando il rosario. La celebrazione di oggi, già ce lo ricordava l’arciprete all’inizio della celebrazione, non è soltanto la commemorazione di un avvenimento di particolare rilevanza, che qualcuno ha perfino definito storico, ma è soprattutto un simbolo, un’immagine, una raffigurazione della nostra vita cristiana».
Parolin ha infatti constatato come la vita cristiana sia «un cammino in salita», come sperimentato dagli stessi presenti alla Messa. Un cammino che, tuttavia, ha una destinazione non fisica, ma di incontro con una persona. «(Questa figura è) Gesù Cristo, nostro Signore, crocifisso e risorto, vivo in mezzo a noi – ha spiegato Parolin -. Il senso del cammino della vita cristiana è infatti di avvicinarci sempre più a lui, fino a poter dire come san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».
Il Segretario di Stato ha ricordato infatti che, per essere cristiani, non basta certo seguire soltanto l’insegnamento di Gesù. Il Signore non si accontenta infatti di gente che obbedisca ai suoi ordini, ma cerca persone che entrino in intimità con lui: «Non ci dice che dobbiamo obbedire, afferma che “lui è la vite, voi siete i tralci”. Ci chiama a un rapporto interpersonale, completamente diverso da quello di una semplice esecuzione di ordini o di comandi».
Nell’omelia si è poi soffermato sul significato dei comandamenti, che si riassumerebbero tutti nella legge dell’amore, che devono diventare il criterio supremo delle scelte e delle azioni personali. «In questo cammino di progressiva intimità – ha aggiunto Parolin – ci aiutano i grandi santi come Giovanni Paolo II. Recentemente qualcuno mi ha ricordato il suo modo di pregare: una totale immedesimazione con il Signore, quasi che il mondo non esistesse intorno a lui. Sembrava estraniarsi completamente dal mondo e chi l’ha visto può rendere questa testimonianza».
Un passaggio è stato dedicato anche a san Carlo Borromeo, con alcune citazioni dello stesso Giovanni Paolo II, che così ne tratteggiava la figura: «Fu un grande pastore della Chiesa, prima di tutto perché egli stesso seguì Cristo, buon pastore. Lo seguì con costanza, ascoltando le sue parole e attuandoli in modo eroico. Il Vangelo divenne per lui la vera parola di vita, plasmandone i pensieri e il cuore, le decisioni e il comportamento».
Una chiamata all’universalità che anche Parolin ha definito una «chiamata universale alla santità», a percorrere un cammino che porta alla piena maturità di Cristo. «Ma non possiamo ignorare – ha concluso il Cardinale – anche quello che insegna la parabola dell’invito a nozze che abbiamo ascoltato. Lo commento con le parole di sant’Ambrogio: gli invitati si scusano mentre il regno non è chiuso per nessuno, eccetto per colui che si auto-esclude con la sua parola. Nella sua clemenza il Signore invita tutti, ma è la nostra vigliaccheria o il nostro smarrimento che ci tiene fuori. Purtroppo ci si può auto-escludere, e ci sono mille pretesti per farlo che sembrano più plausibili. Domandiamo a Maria che questo non accada per nessuno di noi. Affidiamoci a lei perché non c’è nessuno che meglio di lei possa condurci per questo cammino fino a Cristo. A lei, che in questo luogo è da sempre amata e pregata, ci rivolgiamo ora con alcune delle parole usate da papa Giovanni Paolo II, 40 anni fa, riprendendo le espressioni di un altro grande santo di questa terra, san Paolo VI, che per ben 12 volte si fece pellegrino in questo santuario per esprimere alla Santissima Vergine il suo amore filiale: “O Maria, Madre di Dio e Nostra, insegna a noi l’amore. L’amore, chiediamo Maria, l’amore a Cristo, l’amore unico, l’amore sommo, l’amore totale, l’amore dono, l’amore sacrificio per i fratelli. Aiutaci ad amare così, e così sia”».
Nel suo saluto, l’arciprete della parrocchia di Santa Maria del Monte, mons. Eros Monti, ha chiesto al Cardinale di aiutare i fedeli «a fare memoria del cammino e della testimonianza di santità di un Papa straordinario, di un Santo, per poter attingere da momenti come questo uno sguardo rinnovato, capace di guardare avanti, al futuro, per poterci incamminare insieme e con passo deciso verso le mete di speranza che il nuovo Anno giubilare si appresta ormai a breve, a dischiuderci».