Berlinguer – La grande ambizione è un film in cui la schiena del suo protagonista racconta tutto. Elio Germano interpreta il segretario di quello che, negli anni settanta, era il più rilevante partito comunista del mondo occidentale, mostrando il peso invisibile che porta sulle sue spalle. Più dritto all’inizio, lo vediamo piegato dopo cinque anni di lotte politiche, di tentativi di ottenere il governo, ma soprattutto dopo aver aperto una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana.
Un progetto fedele a se stesso
Il film, che ha aperto la 19sima edizione della Festa del Cinema di Roma, è scandito dai discorsi di Berlinguer. Quelli nelle fabbriche, che iniziano dalle domande degli operai e finiscono in strada. Quello a Mosca, di fronte a un pubblico ostile, contrario all’emancipazione del PCI italiano voluta da Berlinguer rispetto all’influenza sovietica. Quello, potente, di fronte al suo popolo, gli elettori che riempiono di rosso le piazze.
Le spalle, riprese da dietro, sono sempre più curve. Portano l’urgenza di un progetto politico fedele a se stesso per trent’anni, ancora acceso nelle idee, e pronto a un compromesso maturo per assicurare un futuro democratico.
Una ricostruzione aderente al materiale storico
La grande ambizione lavora bene non solo con i suoi interpreti, ma anche con i materiali d’archivio. Un’opera certosina di ricostruzioni delle immagini dell’epoca che talvolta entrano nella finzione del racconto. Questa natura quasi ibrida tra documentario e ricostruzione cinematografica conferisce credibilità ad ogni scena.
Bellissimi i momenti in famiglia: mentre alla scrivania Berlinguer elabora pensieri gravi e “alti” i figli litigano lanciandosi pagine strappate dai quaderni. Infine ci sarà il momento più grave dopo il rapimento di Aldo Moro, un discorso diverso da quello dei comizi, uno fatto alla propria famiglia con il cuore affranto e impaurito. Dovesse succedere a me, dice ai suoi cari, sappiate che non voglio alcuna trattativa.
Un Berlinguer pubblico e privato quello filmato da Andrea Segre. La moglie Letizia Laurenti, interpretata da Elena Radonicich, voleva sposare un “grigio funzionario di partito”. Per amore ha accettato la complicata vita del segretario. Contro la competizione, aperto al dialogo, in fondo questo film è il tentativo del suo protagonista di scrivere una storia comune: umana e politica.