«Ho conosciuto Carlo Acutis all’inizio dell’anno scolastico 2005-2006. Ero il suo insegnante di religione. Ricordo una classe di ragazze e ragazzi pieni di vita, desiderosi di iniziare la IV ginnasio». Fabrizio Zaggia, docente all’Istituto dei Gesuiti “Leone XIII”, non ha dimenticato quell’alunno molto particolare, prossimo santo, che purtroppo già l’anno successivo, il 12 ottobre 2006, sarebbe tornato alla casa del Padre, all’inizio della V ginnasio, che frequentò solo per il mese di settembre.
Come era Carlo?
Ho il ricordo molto bello di un ragazzo disponibile e attento agli altri, di un giovane normale, con tanto desiderio di fare nuove amicizie, iniziando il nuovo ciclo scolastico, e soprattutto pieno di curiosità. Veniva spesso alla cattedra, sia durante le mie ore di lezione, sia con altri docenti, per porre qualche domanda, cercando qualche spiegazione in più.
Lei è un insegnante di religione. Ha percepito in lui quella fede che è emersa con particolare forza dopo la sua morte?
Sì, in alcuni casi l’ho proprio notata, sia durante le ore di lezione, con alcuni suoi interventi puntuali e mirati e idee precise, sia nella sua disponibilità. Il mio pensiero torna sempre molto volentieri sul concorso per cui Carlo ha ideato, girato e montato un breve video dedicato al volontariato: ci lavorammo insieme con l’intera classe, ma direi che la realizzazione pratica fu una sintesi di tutto quello che poi è emerso su Carlo. Un ragazzo innamorato della vita, desideroso di aiutare e di stare con gli altri non solamente a parole, ma nei fatti. Soprattutto con quel desiderio di aiutare gli altri per accompagnarli in maniera semplice – magari senza neppure dirlo – verso Gesù.
Eravate a conoscenza delle sue iniziative di evangelizzazione attraverso gli strumenti della comunicazione social, a proposito delle quali viene definito il «santo 2.0»?
Io no. Ricordo, però, che era stato raccolto del materiale organizzato e pensato per una nuova sezione in vista del rinnovamento del sito del “Leone XIII”, che intendeva valorizzare i temi del volontariato. Ci eravamo accordati che nell’estate del 2006 avrebbe lavorato alla produzione di questa sezione, purtroppo rimasta incompiuta.
Dalla morte di Carlo sono passati 18 anni. Nel farne memoria c’è qualcosa che la commuove ancora, a livello personale?
Io ringrazio molto spesso Carlo per il grande dono che mi ha fatto, portandomi a scoprire che la santità non è quella, o solo quella, del digiuno, delle privazioni, del lasciare le ricchezze familiari come fece San Francesco, ma la santità è nella quotidianità. Nella logica di ciò che dice papa Francesco quando parla dei santi della «porta accanto», che magari non è facile riconoscere al momento, ma che esistono e segnano le nostre vite. Penso sempre a un esempio. Come alcuni giovani che, alle 6 del pomeriggio, sanno di aver fissato un tempo per l’attività sportiva, così Carlo aveva deciso che la sua giornata doveva prevedere un momento di preghiera davanti a Gesù Eucaristico. Questa sua ordinarietà costante, dice che la santità è per tutti. Sono stato alla celebrazione per la sua beatificazione nell’ottobre di 4 anni fa e, seppure con mascherine e attenzioni specifiche – eravamo in tempo di Covid -, era bello vedere tanti giovani che, in semplicità, guardavano a questo loro coetaneo con emozione e il sorriso sulle labbra. Non mancherò ovviamente alla canonizzazione, che spero venga annunciata il prima possibile.