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Testimonianza

«Caritas Ambrosiana, un modo diverso di rispondere ai bisogni vecchi e nuovi»

Roberto Rambaldi, vicepresidente dal 1984 al 1997, rievoca le origini dell’organismo che festeggia i 50 anni di attività: «Lavoravamo alla promozione, al collegamento e all’incentivo delle opere già esistenti»

di Claudio URBANO

30 Ottobre 2024
Roberto Rambaldi in Rwanda

Mette sempre avanti il «noi», perché «non è mai bello prendersi i meriti dopo». Ma nel suo periodo da vicepresidente – il primo laico in questo ruolo, dal 1984 al 1997, a fianco prima di monsignor Angelo Bazzari, quindi di don Virginio Colmegna – Roberto Rambaldi ha contribuito in modo sostanziale a dare a Caritas Ambrosiana il volto attuale. Nel segno di quella missione di promozione umana indicata per la Caritas da Paolo VI e attuata, in Diocesi, prima dal cardinale Colombo e quindi dal cardinale Martini. Un periodo di crescita importante, tanto che un rapporto del 1993 riassumeva: «Il 70% delle 364 realtà di servizio censite sul territorio della Diocesi risulta collegato alla Caritas».

Rambaldi ricorda, soprattutto, che la novità non consisteva tanto nell’aggiungere un servizio in più alle tante opere a sostegno delle persone in difficoltà, da sempre presenti nel territorio ambrosiano. Quanto «essere un “motorino di avviamento”, un’opera che fosse soprattutto di promozione, di collegamento, di incentivo per quelle già esistenti». Si trattava, dunque, di indicare una possibilità di miglioramento rispetto a una tradizione di carità radicata, nelle parrocchie, magari da decenni. Per rispondere in modo nuovo ai bisogni di sempre, in alcuni casi; per affrontare le emergenze di quegli anni, in altri; o, ancora, per mettere in rete e strutturare in modo nuovo i servizi, in forme che oggi sono patrimonio comune di chi si impegna in ambito sociale.

Il 2° Convegno nazionale obiettori Caritas. svoltosi nel 1986 all’Università Cattolica. Alla presidenza monsignor Attilio Nicora, alla sua sinistra il magistrato Giuseppe Anzani e Roberto Rambaldi

Coinvolgere la comunità

Tanti gli esempi, a partire dagli interventi per i senzatetto: «Anche allora Milano era ricchissima di servizi, ma si trattava di organizzarsi, di suddividere i ruoli tra chi si occupava delle mense, chi del guardaroba, chi delle docce», ricorda Rambaldi. L’emergenza tra anni Ottanta e Novanta era invece quella dell’Aids: bisognava superare lo stigma e «sfidare le ire dei territori, spiegando che le comunità-alloggio rappresentavano un contesto sicuro e protetto per accogliere i malati». “Opere-segno”, queste, con cui si indicavano possibili risposte ai bisogni più nuovi. Ma le innovazioni arrivavano anche nei contesti di bisogno più tradizionali, come il sostegno ai minori: «Non era scontato far lavorare insieme la scuola, le famiglie e tutti coloro che avevano una responsabilità sul territorio», sottolinea Rambaldi. Un operare concreto che, ricorda l’ex vicepresidente, si univa a una presenza importante sia nel contesto pubblico («attraverso i tanti tavoli a cui eravamo chiamati dai Comuni, dalla Regione o dalle attuali Asl»), sia nella comunità cristiana. «Nelle tante assemblee nelle parrocchie il nostro intento era far sì che si passasse dall’impegno di pochi, generosissimi e in qualche caso santi, al coinvolgimento di tutta la comunità cristiana. Fino a sostenere, se necessario, il costituirsi di nuove associazioni». Oltre alla nascita di moltissimi Centri di ascolto parrocchiali, Rambaldi richiama in particolare la nascita della cooperativa Farsi prossimo, il primo nucleo del consorzio che ora, sotto lo stesso nome, raggruppa diverse realtà di Caritas.

Un periodo entusiasmante, ricorda dunque Rambaldi, reso possibile anche dalla voglia di mettersi in gioco di tantissimi giovani (in quegli anni Caritas arrivava a intercettare fino a 900 richieste per il Servizio civile). «Per molti di loro – evidenzia – quegli anni sono stati un periodo di semina per scelte di impegno future».

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