Pochi testi hanno avuto un impatto così importante sulle società del proprio tempo come quello Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Che fu rivoluzionario, liberatorio, inarrestabile: anche là dove venne osteggiato e nascosto. Perché per la prima volta, in forma chiara e risoluta, si dimostrava giuridicamente l’inutilità della pena di morte e l’assurdità della tortura nei processi penali.
Il manoscritto di questo saggio capitale, autentico patrimonio dell’umanità, è conservato presso la Biblioteca Ambrosiana a Milano, che oggi lo espone in una mostra allestita nelle prime sale della Pinacoteca (fino al 17 dicembre), insieme alla prima edizione a stampa del libro (che vide la luce a Livorno nel 1764, 260 anni fa), alle altre edizioni che immediatamente vennero tradotte e pubblicate in Europa e in tutto il mondo, con materiali e documenti relativi al suo autore, Cesare Beccaria, di cui l’Ambrosiana, appunto, conserva gran parte dell’archivio personale. E dove, giovedì 31 ottobre, alle 11, si terrà un convegno internazionale dedicato proprio a questa grande figura dell’Illuminismo lombardo (per informazioni: www.ambrosiana.it)
Nato a Milano nel 1738, il marchese Cesare si laureò in giurisprudenza a Pavia. La lettura di Montesquieu lo fece appassionare alle questioni filosofiche e sociali, avvicinandolo al cenacolo intellettuale dei fratelli Verri, dove nacque il celebre periodico Il caffè. Proprio in questo contesto Beccaria fu spronato a occuparsi di giustizia penale, tema di stretta attualità in quegli anni, che vedevano la messa in discussione dei sistemi politici dell’ancien régime.
Come rivela il manoscritto dell’Ambrosiana, con tutte le sue annotazioni e le sue cancellature, il testo non venne scritto di getto, ma fu un’opera a lungo meditata, nata soprattutto dal confronto con gli altri componenti del sodalizio illuminista milanese. Anche il titolo risulta leggermente diverso, in quanto il riferimento alle «pene» precede quello ai «delitti», diversamente dalla versione data alle stampe.
Il successo di questo libro, come si diceva, fu straordinario: forse persino inaspettato, nelle sue dimensioni. Lo stesso Beccaria fu travolto dal clamore che seguì alla pubblicazione del suo saggio, acclamato a Parigi, a Londra e in tutte le città europee: anche in Russia Caterina II volle l’immediata traduzione dell’opera, invitando alla sua corte l’intellettuale milanese.
Senza retorica alcuna, si deve riconoscere che il Dei delitti e delle pene ha contribuito a fissare i cardini della civiltà giuridica. La proporzionalità fra reato e punizione, la responsabilità personale del reo (che non può coinvolgere famigliari e parenti), la non interpretabilità della legge sovrana e il concetto stesso che la legge è uguale per tutti, qualunque sia il ruolo e la classe sociale, sono criteri che oggi sono universalmente condivisi, anche se purtroppo ancora non ovunque praticati.