Il 16 settembre 2022 Mahsa Amini veniva assassinata. La “colpa”: non aver indossato correttamente l’hijab. Quel giorno fu l’innesco di un’ondata di proteste nelle strade iraniane. Un movimento di ribellione contro la Polizia Morale condotto con il coraggio dei ragazzi e soprattutto delle ragazze. Le giovani si sono tagliate i capelli in pubblico e hanno danzato nelle strade.
Tutto questo il cinema iraniano l’aveva previsto da tempo. L’ha raccontato in modo simbolico, sottinteso, furbo, come si addice a registi che devono costantemente sfuggire alla censura. Jafar Panahi, che figura come sceneggiatore e montatore di La testimone – Shahed, è uno degli oppositori più puniti: per i suoi film è stato spesso in carcere (anche se i capi di accusa sono altri, montati ad arte).
Una nuova prospettiva dell’Iran
Nader Saeivar racconta con La testimone un’altra prospettiva della rivoluzione femminile. Tarlan è una madre adottiva, nonché un’anziana insegnante impegnata nelle lotte sindacali. Intravede un cadavere a casa della figlia Zara. Non fa in tempo a vederlo bene. Il genero, intervenuto per allontanarla, adduce scuse. Messo alle strette sostiene che il corpo sia di un amante di Zara che aveva messo in crisi il loro matrimonio. Eppure Zara non si trova più. Ci sono pochi dubbi: ad essere stata uccisa è sua figlia e Tarlan è una testimone chiave. Per avere giustizia c’è il patriarcato da superare.
Un thriller appassionante
Con lo stile di un thriller il film riesce a coniugare l’intento di denuncia con una trama appassionante. Meno inventivo rispetto ad altri film sullo stesso tema, La testimone sembra, ai nostri occhi, totalmente paradossale e improbabile: come si può uccidere e nascondere un cadavere sotto gli occhi di tutti? Proprio questo straniamento ci restituisce la forza con cui Nader Saeivar punta il dito contro la società Iraniana. Un giallo che potrebbe essere risolto subito con la scoperta del cadavere, diventa un’odissea per chi ha visto, tramutandosi in un bersaglio da zittire.
Non eccezionale nella sua parte centrale, l’opera riesce a trovare un finale altamente simbolico che in pochi secondi tocca corde profonde. Vale la pena vederlo anche solo per quello.