«L’Arcivescovo nella sua Proposta evidenzia l’importanza dell’amore che salva, ma sottolinea anche che il male è insopportabile. Indica, quindi, la necessità di interrompere ciò che ci lega al peccato dicendo che, nell’anno in cui dobbiamo essere pellegrini di speranza come ci chiede il Giubileo, è importante educare le persone a vivere autenticamente la dimensione della riconciliazione, riconoscendo il peccato e, quindi, chiedendo perdono». Monsignor Fausto Gilardi, penitenziere maggiore del Duomo e responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale liturgica, avvia la sua riflessione sulla Proposta pastorale 2024-2025 e il suo richiamo al sacramento della Riconciliazione dal titolo stesso scelto dall’Arcivescovo.
Monsignor Delpini parla della Riconciliazione come di un sacramento un poco dimenticato nella pratica diffusa. È così per la sua esperienza?
Rispetto a qualche decennio fa, il numero dei penitenti è chiaramente diminuito e, dopo il Covid, i dati ci dicono che vi è stato un ulteriore calo. In Cattedrale, però, devo dire che confessiamo tanto, praticamente senza interruzione ogni giorno dalle 8 alle 18. Registriamo un afflusso costante di penitenti e sono molto attento che, fin dal primo mattino, vi sia un numero adeguato di confessori. Abbiamo parecchi giovani universitari che frequentano la penitenzieria del Duomo, ma anche professionisti e gente di tutte le età.
Nella Proposta si pone un accento particolare sulla dimensione ecclesiale della Riconciliazione. Come interpretarlo?
Sia in questo contesto, sia in altri, monsignor Delpini sottolinea che il peccato è una ferita alla Chiesa e che la riconciliazione è un ritorno nella Chiesa e attraverso essa alla comunione con Dio e con i fratelli. Il suggerimento che l’Arcivescovo offre è quello di curare, dunque, anche una preparazione al sacramento della Confessione, non indugiando eccessivamente sulla dimensione personale – pur nel riconoscimento dell’importanza dell’accusa e dell’assoluzione personale -, ma mettendo in evidenza piuttosto la dimensione comunitaria. In occasione dell’anno giubilare si vorrebbe proprio approfondire tale indicazione, attuandola nella pratica ordinaria.
La nostra Chiesa sta ponendo attenzione anche su quello che viene chiamato «l’esame di coscienza». A volte ne ha fatto chiaro riferimento lo stesso Arcivescovo in alcune sue omelie e riflessioni…
L’Arcivescovo parla di una «sussidiazione» proprio in riferimento all’esame di coscienza. In questi giorni, come incaricati per il Giubileo, stiamo preparando un testo per aiutare i fedeli: si tratta di uno schema di esami di coscienza che prende spunto dalla Bolla d’indizione dell’anno giubilare, Spes non confundit, la quale pone al suo centro la speranza. Ovviamente l’esame di coscienza può essere fatto anche su tante altre tematiche, a partire dalla Parola di Dio. Normalmente mi sembra che le persone si rifacciano, in tale contesto, al metodo suggerito dal cardinale Carlo Maria Martini durante la Scuola della Parola: quindi attraverso gli steps della Confessio laudis, Confessio vitae, Confessio fidei. Ossia il momento del ringraziamento, poi la richiesta di perdono, confessando la propria vita, e infine, il momento del proposito e dell’impegno per una vita nuova.