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Percorsi ecclesiali

Proposta pastorale 2024-2025

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Intervista

Como: «È la grazia del Signore a plasmare la libertà dell’uomo»

Il Vicario episcopale riflette sulla prima sezione della Proposta pastorale dell’Arcivescovo e in particolare sull’azione salvifica di Dio come guida dell’agire umano e come atteggiamento per interpretare il “riposo” giubilare

di Annamaria BRACCINI

17 Settembre 2024

La grazia di Dio che salva e che è sufficiente per vivere una vita autenticamente cristiana. È qui il “cuore” della Proposta pastorale dell’Arcivescovo per l’anno 2024-2025 appena iniziato. Proposta che nel suo titolo, Basta. L’amore che salva e il male insopportabile, e nella prima sezione del pronunciamento, «Ti basta la mia grazia», ripete questo «basta», interpretabile come voce del verbo bastare, essere sufficiente, e come «basta» alle tante guerre e ingiustizie del mondo. E dal titolo del documento parte la lettura di don Giuseppe Como, vicario episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della fede e per la Pastorale scolastica: «L’Arcivescovo fa riferimento all’amore che salva, che non è ottenuto con i nostri sforzi, ma è una pura iniziativa di Dio, il quale è motivato nei nostri confronti solo dall’amore. Non a caso, nell’introduzione alla Proposta, l’Arcivescovo invita a perseverare nella gratitudine e nella docilità, cogliendo la grazia di Dio che si riconosce in ogni storia di libertà».

Ma come coniugare il concetto di grazia con la libertà personale degli uomini anche quando, purtroppo, scatenano guerre e si fanno del male?
Non è facile comprenderlo, perché la docilità a cui si è fatto riferimento richiede un elemento di recettività che oggi, in un’epoca in cui si crede di essere protagonisti unici e indiscutibili del proprio destino, non è semplice cogliere, specie nel suo rapporto di tale recezione con il lasciarsi plasmare dalla grazia del Signore. L’idea, la scommessa della nostra fede è invece che la nostra libertà è guidata, è plasmata e quindi ha bisogno di essere istruita, di prendere forma proprio accogliendo l’azione di Dio. Ci sono tante opzioni nella nostra vita, ma in fondo ci rendiamo conto che l’esistenza ci mette spesso nella condizione di subire eventi e avvenimenti che non riusciamo a governare. Acquisire questa consapevolezza porta a guardare più in là e a rendersi conto della presenza attiva di Dio.

Don Giuseppe Como

La tradizione della Chiesa ha spesso sottolineato questo aspetto, dal Nada te turbe. Sólo Dios basta di Teresa D’Avila citato dall’Arcivescovo, a Ignazio di Loyola, che a colui che negli esercizi spirituali ha percorso un cammino di ricerca del Signore e di purificazione della libertà propone la preghiera Dammi solo il tuo amore e la tua grazia, ché questa mi basta...
Leggendo queste parole mi è tornata in mente un’espressione a me molto cara, e che era soprattutto un’idea molto cara al teologo Giovanni Moioli, di cui tra meno di un mese ricorre il 40esimo della morte. Egli amava dire che la fede cristiana non censura il desiderio, ma lo purifica dalle inclinazioni egoistiche e lo apre, invece, verso gli altri. Ecco, la preghiera ignaziana è quella di un uomo che ha fatto questo percorso di esercizi spirituali, imparando a purificare il proprio desiderio e quindi adesso può riconsegnarsi completamente a Dio.

Venendo su un piano molto pratico e quotidiano, monsignor Delpini sottolinea la necessità di vivere la grazia come atteggiamento, come quello stile spirituale che ci libera dall’attivismo a volte un poco sfrenato che è nel Dna della nostra Chiesa e del nostro essere ambrosiani. Questo è un richiamo su cui basare anche la nostra azione di fede all’interno della comunità?
Sì. Infatti tutto ciò si lega al tema del Giubileo, ampiamente trattato nella seconda parte della Proposta, come tempo sabbatico, di riposo della terra (in origine nella tradizione ebraica) e personale. È un richiamo che serve anzitutto a fare memoria, a comprendere che ogni frutto della terra è un dono di Dio e che, quindi, occorre aprirsi alla gratuità anche nei rapporti personali, a gustare il tempo dell’amicizia, dello stare insieme per il gusto di coltivare relazioni buone. L’Arcivescovo invita e, mi pare, solleciti ciascuno di noi anche a rivedere i nostri calendari (anche lui lo farà a gennaio con il suo), imparando l’arte di riposare che non è, ovviamente, “buttare via il tempo”, ma usarlo bene nel giusto bilanciamento tra lavoro, impegni e pause. È chiaro che non è facile per noi, per quella frenesia che tante volte ci caratterizza, ma questo ci riporta ancora una volta al potere della grazia di Dio, la quale non giustifica l’inerzia o la pigrizia, ma cambia il senso del nostro lavorare, che diviene espressione della gratitudine per il fatto di sapere che c’è un’iniziativa di Dio che ci precede per il suo amore. È il tempo della sospensione, il tempo sabbatico, della gratuità, e un modo per recuperarlo è imparare anche l’arte dell’ascolto e della contemplazione della realtà.

Se una persona chiedesse a lei, sacerdote, come scoprire dentro di sé questa grazia, cosa consiglierebbe? L’ascolto della parola di Dio, la preghiera frequente, il silenzio, spingersi in una riflessione più profonda sul senso della vita, l’ascolto degli altri?
Ovviamente non vi è una via privilegiata: ognuno conosce le proprie preferenze e, se si guarda dentro con attenzione e serietà, può trovare percorsi di avvicinamento alla grazia del Signore. Particolarmente importante mi pare frequentare la Parola di Dio con la lettura e l’ascolto delle Scritture, del Vangelo, la Lectio divina. Ritengo, però, che anche qualche momento semplice, con l’ascolto, per esempio, di un po’di buona musica, o dare tempo a qualcuno che ha bisogno di essere ascoltato e accolto, in un contesto di amicizia e di conversazione, possa essere bello e utile. Quest’ultimo mi sembra un atteggiamento importante, ma bisogna essere capaci di darsi dei tempi, perché questa sospensione, questo ascolto non ci vengono spesso naturali e occorre essere in grado di imporceli.