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Percorsi ecclesiali

Proposta pastorale 2024-2025

Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Intervista

Magatti sulla Proposta pastorale: «Cambiare gioco spetta ai credenti»

Il sociologo dell'Università cattolica analizza il nuovo documento: «Guerre, odio, sofferenze: è importante che l’Arcivescovo sottolinei che tutto origina dal peccato, dall’errore. E che con il suo “Basta” richiami il ruolo di responsabilità dei laici»

di Pino NARDI

9 Settembre 2024
Mauro Magatti

da Il Segno di settembre

«Il nostro è un tempo in cui si va fuori strada tante volte. Quindi credo che si debba salutare come molto importante che la voce di mons. Delpini si levi invitando a fermare la spirale della violenza che è intorno a noi». Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica di Milano, la nuova Proposta pastorale dell’Arcivescovo per l’anno 2024-25 Basta. L’amore che salva e il male insopportabile (Centro Ambrosiano, pp. 60, € 4). Una riflessione che parte da una Chiesa, come quella ambrosiana, che si è incamminata in un profondo ripensamento alla luce della sinodalità voluto da papa Francesco con il Sinodo in corso, e affermi la necessità della testimonianza dei credenti in un mondo flagellato da guerre e violenza, con una crescente minaccia alla tenuta della democrazia, come è emerso nella recente Settimana sociale di Trieste.

Anche nella Chiesa ambrosiana è avviato da tempo l’impegno a un rinnovamento ecclesiale puntando sulla sinodalità, sulla corresponsabilità. Quale volto di Chiesa emerge e quale ruolo possono svolgere i laici in questo senso?
Come sappiamo la sinodalità è uno degli elementi cruciali che papa Francesco ha lanciato in questa seconda parte del suo pontificato e la Chiesa di Milano ne ha sicuramente riconosciuto l’importanza. È un cammino difficile anche perché si tratta di introdurre un elemento che era stato lasciato molto ai margini. Ne esce una Chiesa che deve diventare, per usare un’espressione diversa ma più classica, comunionale, cioè che riconosce diversi ministeri, ruoli e carismi, ma capisce che solo la ricchezza di tutte le persone, di tutto il popolo di Dio, ne può rilanciare e ravvivare la vita.

L’arcivescovo Delpini pone in primo piano il “basta” alla guerra, alle sofferenze, al risentimento e all’odio, allo sperpero scandaloso per gli armamenti, all’incapacità di intravedere vie d’uscita, possibilità di tregua e pace. Come valuta questo appello?
Intanto è un appello necessario, perché credo che sia evidente a tutti che viviamo un tempo dove ci sono tanti rischi, c’è una violenza e un odio sociale molto diffusi. Quindi c’è bisogno che chi ha autorità, come l’Arcivescovo di Milano, esprima questi sentimenti, che sono di tanti. È interessante vedere come Delpini sottolinei che tutti questi elementi di distruzione originano in quello che nella tradizione cristiana si chiama peccato, cioè nell’errore, nello sbaglio, nel non centrare il bersaglio, per citare il riferimento etimologico della parola.

Delpini invita a costruire un’educazione alla pace, che proponga una visione del mondo di riconciliazione tra i popoli, e incoraggia gli intellettuali alla diffusione di una cultura di pace. Quale può essere il contributo dei credenti?
Il contributo dei credenti in questo momento è fondamentale, perché se c’è un modo di fermare la guerra e la spirale della violenza viene proprio da chi è capace di interrompere un circuito, di fare un salto, di cambiare gioco. Chi se non il credente, cioè colui che è capace di vedere la realtà al di là degli interessi, dello schema azione-reazione, può in questo momento dare un contributo prezioso in questo senso? La pace sappiamo non è assenza di guerra, è una costruzione attiva. Sono solito dire che la pace si fa in due, però quando una delle due parti è capace di cambiare lo schema, di fare una mossa risolutiva. Il ruolo dei credenti è quello di contribuire perché questa mossa sia intravista e poi sia effettuata.

Un ruolo fondamentale lo può svolgere la comunicazione per aiutare alla conoscenza e non alla diffusione dell’odio, raccontando anche il punto di vista delle vittime. Quanto può farlo il giornalismo di qualità, in una stagione nella quale i social media non vanno in questa direzione?
Sappiamo che i social media sono tante cose allo stesso tempo: generano odio, ma diffondono anche altri sentimenti. Il giornalismo e le fonti mediatiche autorevoli, credibili, costituiscono anche in questo caso un punto di riferimento fondamentale. Se venissero meno saremmo in guai ancora peggiori. Poi certo ci vuole l’educazione delle persone a scegliere i social a cui ci si espone, a imparare a informarsi non semplicemente da Facebook o da Instagram, ma da fonti che siano più credibili. Quindi ci vuole un intervento di diverse parti, che deve aiutarci a uscire dal gioco di ombre e penombre in cui ci siamo infilati. Da questo punto di vista i richiami sono importanti, perché in un mondo in cui sembra che non si possa dire più niente, è bene che qualcuno chiarisca alcuni punti di riferimento generali.

Secondo monsignor Delpini la formazione di nuove vocazioni politiche per un impegno illuminato nelle amministrazioni locali e nelle istituzioni è un servizio importante della comunità cristiana. Anche alla luce della Settimana sociale di Trieste sulla democrazia, come vede il futuro dei cattolici in politica?
È fuori di dubbio che ci sia bisogno innanzitutto di una lettura diversa di questo tempo, peraltro già esistente soprattutto a livello di amministrazione locale, dove tante realtà vanno in questa direzione; inoltre di una classe politica che eviti le polarizzazioni e invece lavori per il bene comune. La matrice cattolica in questo momento, da certi punti di vista, è molto fragile, ma allo stesso tempo può essere portatrice di una novità importante. Sulle spalle dell’eredità del pontificato di papa Bergoglio con le due encicliche fondamentali (Laudato si’ e Fratelli tutti), il mondo cattolico può lavorare per far riconoscere a questo tempo che tra i due poli (l’individualismo radicale dei diritti dell’io da una parte e la chiusura autoreferenziale spesso animata da razzismo ed etnocentrismo dall’altra), ci sta il riconoscimento che tutto è relazione e quindi che siamo responsabili delle relazioni che facciamo esistere. Questa è la libertà che va sempre salvaguardata, ma a cui bisogna chiedere di dare un contributo per la democrazia e la giustizia.

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