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Kiev, un fiore come simbolo di resilienza

Gloria Mascellani - milanese, animatrice di una comunità del movimento dei Focolari nella capitale ucraina dal 2019 - racconta la voglia di normalità della popolazione dopo i bombardamenti di luglio, che hanno colpito anche l'ospedale pediatrico, e la visita del cardinale Parolin

di Stefania CECCHETTI

11 Agosto 2024
Kiev, l’ospedale Okhmatdyt danneggiato dai bombardamenti russi dell'8 luglio. Foto Ansa/Sir

C’è un’immagine simbolo che secondo Gloria Mascellani – milanese, animatrice di una comunità del movimento dei Focolari a Kiev dal 2019 – descrive perfettamente la resilienza degli ucraini: quella di una donna china a sistemare un’aiuola nel giardino dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt, devastato dai missili russi lanciati sulla capitale a inizio luglio. Una scena che ha colpito Mascellani quando, poco dopo i bombardamenti, ha visitato l’ospedale con alcuni membri del Mean (Movimento nonviolento di azione europea).

Secondo il sentire comune il bombardamento dell’ospedale Okhmatdyt non è stato un “effetto collaterale”: «Hanno colpito proprio il reparto dove era più difficile evacuare i bambini, perché tenuti in vita dalle macchine – fa notare Mascellani -. E poi da mesi si rincorrevano voci di un attacco russo all’ospedale. Per fortuna, quando è scattato l’allarme aereo i medici sono riusciti a portare in salvo i bambini, facendo da scudo con i loro corpi. Infatti, per fortuna nessun piccolo è morto, ci sono stati solo feriti. A morire invece è stata una giovane dottoressa…». A parte la ferocia dell’attacco in sé, colpire l’ospedale ha significato minare la capacità di cura dei bambini di tutta l’Ucraina: «Era la struttura più all’avanguardia del Paese, avevano inaugurato un grande padiglione solo l’anno scorso – ricorda Mascellani -. Per fortuna l’ospedale è già stato parzialmente riaperto».

I bombardamenti di luglio hanno fiaccato gli animi della popolazione: «In città è mancata la luce in modo massiccio e continuato, non succedeva da mesi – racconta Mascellani -. È stato abbastanza complesso organizzarsi per condurre una vita relativamente normale. Negli ultimi giorni non ci sono state più interruzioni così lunghe, anche se i bombardamenti non hanno mia smesso. Due notti fa c’è stato un allarme per missili balistici, i più temibili. In città, però, il sistema antiaereo funziona abbastanza bene».

Certo, è pur sempre una vita sempre sotto minaccia: «Nelle zone occupate si muore o si finisce in carcere solo se si dice di essere ucraini. L’ucraina per i russi, non deve più esistere. Vivere con la coscienza che qualcuno vuole distruggere il tuo popolo deve essere molto pesante, a livello intimo. Io sono straniera, non posso capire fino in fondo», confessa Mascellani.

Il cardinale Parolin al santuario di Berdychiv, Ucraina. Foto Mascellani

In questo scenario a luglio è arrivata la visita del Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, accolta con grande gratitudine sia dalle istituzioni che dalla popolazione: «Ero presente alla celebrazione presso il santuario della Madonna del Carmine, a Berdychiv, una delle mete spirituali più amate dalla comunità cattolica del Paese – racconta Mascellani -. Mi ha colpito soprattutto la reciprocità di questo incontro: tantissima gente si è radunata per ascoltare le parole di Parolin e lui, nel vedere tutte quelle persone raccolte in preghiera, si è commosso. Insieme all’abisso, ha detto Parolin, trovo anche tanta fede, che porta la luce. Il segretario di Stato ha poi consegnato al rettore del santuario un rosario, segno che questo è davvero il momento di intensificare la preghiera».

Esattamente quello che cercano di fare i Focolarini presenti a Kiev, come spiega Mascellani: «Cerchiamo continuamente occasioni per incontri comunitari di condivisione della vita e della Parola, perché danno tanta luce e forza. E poi aiutiamo, come possiamo: chi con la Caritas, chi con altre associazioni. Nella struttura dove lavoro io, tanti telefonano sperando che, attraverso la Chiesa, si possano avere notizie delle persone, anche bambini, che sono stati fatti prigionieri nei territori nel nord, da dove è iniziata l’invasione dei russi. Per me è davvero straziante parlare con chi da così tanto tempo non sa nulla dei propri cari. È importante che queste cose si sappiano, per dare voce a tutte queste famiglie disperate».

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