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In Duomo

Ai piedi di Maria, pregando per la pace

L’Arcivescovo ha presieduto il Pontificale nella solennità dell’Assunzione, facendo sua l’invocazione elevata dal cardinale Pizzaballa per la Terra Santa

di Annamaria BRACCINI

16 Agosto 2024
La preghiera finale dell'Arcivescovo

«Accogliamo questa festa solenne come un giorno di speciale preghiera per la tregua e per la pace specie in Terra Santa». Nella solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, in Duomo, l’Arcivescovo parla anzitutto di pace e di speranza, presiedendo il Pontificale aperto dal suo saluto di benvenuto «nella casa di Maria», rivolto anche in inglese e spagnolo, ai fedeli riuniti per la Messa, tra cui molti stranieri. Il rito è stato concelebrato da alcuni canonici del Capitolo metropolitano, tra cui l’Arciprete del Duomo, e da altri sacerdoti.

È il giorno dell’antichissima festa mariana del 15 agosto in Cattedrale, che sotto il sole agostano pare vegliata dalla sfolgorante Madonnina così come dalla grande vetrata in facciata, rappresentanti entrambe la Madonna Assunta, nel cuore di una Milano fin dal primo mattino affollata di turisti. Per la grande maggioranza simili – usando un’espressione dell’Arcivescovo nell’omelia – a quelli «che entrano ed escono dalle chiese, dalle testimonianze sublimi dei capolavori della fede, ma non ne comprendono nulla, non si aspettano nessuna annunciazione, non sono disponibili per nessuna conversione».

Il timore per l’«inatteso»

E forse, osserva ancora monsignor Delpini, «uno dei segni dell’esaurirsi della fede è proprio l’esaurirsi dello stupore», in un’umanità «che ha circoscritto Dio nelle astruse lontananze della insignificanza e si è come circondata dall’indifferenza e dalla disperazione per evitare che irrompa l’inatteso».

Insomma, l’umanità di coloro (in fondo, tutti noi) per cui la vita è una sorta di «tour del “tutto compreso”», senza soprese, nel quale «tutto è programmato, prevedibile e incasellato», con giornate che «sono una grigia quotidianità, con emozioni che sono provocate artificiosamente dai mercanti che devono piazzare la loro merce, quando sono solo le apparenze a suscitare un momentaneo meravigliarsi».

Ma altro dice il Vangelo appena proclamato nella pagina del primo capitolo di Luca, con il Magnificat di Maria e la meraviglia della cugina Elisabetta. Chiarissimo, nelle parole dell’Arcivescovo, il richiamo all’oggi di una fede che dimentica, appunto, lo stupore.

Entrare nella casa dello stupore

«Forse possiamo domandarci quando è stata l’ultima volta in cui abbiamo sperimentato l’irrompere della gioia sorprendente nella nostra vita. Quelli che credono di sapere già tutto non possono entrare nella casa dove Dio li sorprende. Quelli che considerano una forma di saggezza, di buon senso, l’essere rassegnati alla mediocrità, al prevedibile ovvio e calcolato, ritengono ingenuo e sciocco aprire la porta dello stupore».

Di quel senso profondo e umanissimo con cui accogliere, ora come 2000 anni fa, la gioia di un’annunciazione che ci rende «protagonisti sorpresi, grati, lieti della storia della salvezza dell’umanità». Stupiti che Dio non smetta nella sua opera «di salvare tutti, di battere le prepotenze per la fraternità; che continui a chiamare gli uomini, che continuano a volere la guerra, alla pace mettendosi dalla parte dei poveri, degli affamati, degli umili, del popolo scelto per essere un segno tra le nazioni».

Un appello che l’Arcivescovo scandisce ancora, a conclusione della celebrazione, facendo propria la preghiera – recitata in inglese e spagnolo – con cui «in questo momento così delicato e trepido» il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, invita a pregare per la pace nella terra del Signore.   

Anche molti stranieri tra i fedeli presenti in Duomo

Il viaggio in Congo

A margine della celebrazione, parlando con i cronisti del suo viaggio in Congo, che inizia in queste ore e che terminerà il 22 agosto (leggi qui), l’Arcivescovo dà voce alle sue attese: «Dalla visita a una Chiesa così viva, così segnata dalla sofferenza e dalla passione per il Vangelo, mi aspetto di vedere qualche germoglio di una possibilità nuova per questo Paese tanto tribolato, ma vedo anche un messaggio di speranza per tutta la nostra Chiesa ambrosiana, che sembra qualche volta invecchiata e rassegnata».

In riferimento alla Messa che presiederà in memoria del nostro ambasciatore in Congo Luca Attanasio, nato a Limbiate in provincia di Milano e ucciso nel febbraio del 2021, l’Arcivescovo aggiunge: «Il Congo è uno dei luoghi più segnati dalla guerra e in certe zone esiste una sorta di situazione incontrollabile, come nella regione in cui anche il nostro ambasciatore è stato assassinato. Io cercherò di ricordare, di pregare, di incoraggiare gli uomini che lavorano per la pace».

«Credo che sentirci Chiese sorelle, pur tra tante differenze, serva per comprendere come il cristianesimo sia capace di offrire orizzonti di speranza e motivazioni di impegno sotto tutti i cieli, in tutte le latitudini. Il fatto che là siano presenti i nostri preti permette di aspettarsi un arricchimento anche per la nostra Chiesa, qualche intuizione, un modo di celebrare più festoso, un modo di vivere la carità più paziente».