Un bilancio quasi al termine dell’anno pastorale 2023-2024. A stilarlo è il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, che, a partire dall’«aspetto qualificante» che ha caratterizzato la vita della Chiesa ambrosiana nei mesi scorsi, osserva: «Penso che sia stata e continui a essere centrale la riscoperta della coscienza missionaria, vissuta con uno stile sinodale, attraverso l’avvio dell’esperienza delle Assemblee sinodali decanali e il ripensamento relativo ai Consigli pastorali con il Direttorio. Insomma, una Chiesa che cammina con fiducia perché lo fa insieme, cogliendo che cosa lo Spirito suggerisce per comunicare il Vangelo».
Nella Proposta pastorale l’Arcivescovo evidenzia che, al di là degli eventi che si sviluppano di anno in anno, ciò che dà il ritmo all’anno pastorale è sempre e solo l’anno liturgico…
Certamente. È la fonte della vita cristiana e il fondamento della fraternità. Questo richiamo ci deve portare a riflettere sul fatto che, forse, facciamo fatica a celebrare insieme l’Eucaristia come incontro con il Signore Gesù vivo. Il richiamo all’anno liturgico, da una parte, ci ricorda questo primato, dall’altra ci rende più liberi da programmi rigidi e ripetitivi. Come l’Arcivescovo ricorda un po’ ironicamente, non si tratta di avere un calendario già pronto, ma di vivere l’esistenza con un respiro e una dimensione autenticamente umani. Questo mi pare un aspetto molto liberante: non vuol dire che non ci raduniamo, non organizziamo, non mettiamo a tema appuntamenti e percorsi formativi, ma che facciamo tutto questo come prolungamento della celebrazione eucaristica, così come evidenziava spesso anche il cardinale Scola. Così credo che debba essere inteso il cammino annuale, compreso anche l’invito a riposare, come si legge nella Proposta dell’Arcivescovo.
Proprio in questo legame inscindibile tra la vita della Diocesi e l’anno liturgico, si situa l’entrata in vigore nella prima domenica di Avvento della seconda edizione del Messale ambrosiano. Per l’Arcivescovo non si tratta solo di un volume, per quanto bello, ma di uno strumento da vivere. In che senso?
La nuova edizione del Messale è il segno concreto e visibile di una ricchezza dello Spirito, di una storia di fede e di preghiera che ci ha raggiunto e che noi, attraverso la celebrazione, possiamo trasmettere ad altri. In questa ottica, il Messale non deve rimanere in una sacristia, chiuso in un armadio, ma dovrebbe – deve – “abitare” anzitutto il gruppo liturgico, perché sia conosciuto, studiato e condiviso. Il Messale è il riferimento per la preghiera comune, per la celebrazione creativa e ordinata, e non soltanto per compiere qualche gesto o qualche precetto. È il libro della comunità, non del prete o del sacrestano.
Il 29 dicembre anche a Milano, in Duomo, si aprirà il Giubileo 2025, sul tema «Pellegrini di speranza». Lo sguardo di speranza indicato dal Papa nella Bolla di indizione è lo stesso che monsignor Delpini sottolinea in tutto il suo magistero e anche nella Proposta pastorale 2024-2025?
Certamente il titolo del Giubileo e la visione dell’Arcivescovo sono occasioni per far sì che il tema della speranza non sia confuso con un ottimismo superficiale, ma venga percepito come una realtà da ricercare attraverso segni concreti, piccoli ma veri, di un’umanità che si rilancia, che cerca la riconciliazione e la ripresa di una convivenza nella pace possibile a tutti. Oggi ci è chiesto di decidere se dare credito ai segni di violenza, di male e anche di odio, o dare credito e intelligenza alla riconciliazione, alla solidarietà, alla cura del più piccolo, alla stima reciproca. Il Giubileo ci invita, come comunità cristiana, a metterci in ascolto del Signore, perdonandoci vicendevolmente come Lui ci ha perdonati.
Appunto il sacramento della Riconciliazione, definito talvolta il più “dimenticato”, è al cuore del cammino che attende la Chiesa ambrosiana. Come vivere la Riconciliazione non solo a livello individuale o personalistico?
Dovremmo imparare a sperimentare momenti in cui, insieme come comunità viva, celebriamo la Riconciliazione, un poco come noi sacerdoti facciamo da qualche anno ritrovandoci in Duomo nel primo martedì di Quaresima. Quello stile di un dialogo franco, dell’avvicinarsi al sacramento e di impegnarsi per un’azione di carità, può diventare trasferibile nelle comunità parrocchiali, aiutando a riscoprire il senso della Riconciliazione, che non può rimanere solo un fatto privato.
Nella Proposta c’è un richiamo preciso a continuare nell’itinerario sinodale, da vivere nella Chiesa universale con la seconda sessione del Sinodo dei Vescovi, nella Chiesa italiana e nella Diocesi con le Asd, come lei ha spiegato anche nella sua veste di presidente della Consulta Chiesa dalle genti. Con quale spirito proseguire questi percorsi?
Certamente i tre momenti sono tra loro in sinergia, per il concetto della missione della Chiesa vissuta in senso sinodale. Il cammino di discernimento della Chiesa italiana, relativo a cosa chieda oggi lo Spirito alle nostre comunità per rinnovarsi, porta a incoraggiare la scelta fatta di sperimentare in concreto una sinodalità attraverso i Gruppi Barnaba e le Assemblee. Le quali, non a caso, sono partite dall’ascolto della realtà del territorio del Decanato, proprio perché intuiamo delle priorità missionarie e delle esperienze da mettere in comunione e da collegare per avviare percorsi di vita buona per le nostre comunità e la realtà sociale e civile nella quale viviamo. Tutto questo può aiutare anche a rinnovare lo sguardo della comunità parrocchiale che celebra l’Eucaristia e che da questa trova forza per rileggere se stessa come luogo di testimonianza e incoraggiamento per il territorio.