«Un Parlamento forte in un’Europa forte». È l’auspicio espresso da Roberta Metsola, rieletta con un plebiscito alla presidenza dell’Europarlamento. La deputata maltese, appartenente al gruppo dei Popolari, ha ottenuto 562 voti su 623 voti validi (699 votanti, 76 bianche e nulle). 61 voti sono andati all’altra candidata Irene Montero, esponente della sinistra.
«Maggioranza Roberta»?
Appena eletta, Metsola tiene nell’emiciclo di Strasburgo un discorso “ecumenico”, facendo eco alla vasta maggioranza che l’ha votata. Metsola poteva infatti contare sul sostegno dei popolari (188 seggi), dei socialdemocratici (136) e dei liberali di Renew (77), cui si sono aggiunti i verdi (53 voti). Sommati, questi quattro gruppi arrivano a 454 eurodeputati: il che conferma come Metsola abbia pescato preferenze in un’area politica ben più ampia, coinvolgendo esponenti dei conservatori e dei deputati non iscritti. Il voto segreto non consente di andare oltre, ma si può forse affermare che questa “maggioranza Roberta”, pro-europea, suona bene per il voto di giovedì, quando l’aula dovrà dare la fiducia a Ursula von der Leyen per la presidenza della Commissione.
Democrazia, diritti sociali
Metsola affronta i diversi temi all’ordine del giorno a livello Ue: le riforme istituzionali (chiedendo per l’Europarlamento il potere di iniziativa legislativa, che invece oggi spetta alla Commissione), il sostegno – anche militare – all’Ucraina, la difesa della democrazia («non possiamo mai darla per scontata») e dello stato di diritto. Ricorda il doveroso impegno dell’Unione europea per la difesa della pace (anche in Medio Oriente) e dei diritti sociali, la promozione di opportunità per i giovani, un’economia di libero mercato sostenibile sul versante ambientale. Segnala il problema dei costi della casa, la necessità di investire su formazione e ricerca e di affrontare la rivoluzione digitale. Parla di pensioni e stipendi adeguati. Sulle migrazioni sembra affidarsi al modesto Patto recentemente siglato in sede Ue, rimarcando poi la strada di una non ben definita «politica migratoria antropocentrica».
Padri e madri dell’Europa
Numerose le citazioni. La prima per il predecessore David Sassoli, il quale «aveva messo al primo posto la dignità delle persone». Poi i padri fondatori, Papa Wojtyla, Simone Veil (prima donna presidente dell’Europarlamento nel 1979). «La nostra – dice – deve essere un’Europa di cui Adenauer, Mitterand, Wałęsa, Fenech Adami, Havel, Falcone, Borsellino sarebbero orgogliosi». Ad Alcide De Gasperi riserva un passaggio in italiano: «La tendenza all’essere uniti è una delle costanti della storia. Parliamo, scriviamo, insistiamo, non lasciamo un istante di respiro; che l’Europa rimanga l’argomento del giorno». Si sofferma a lungo sull’impegno a contrastare la violenza contro le donne, assicurando parità di genere in ogni ambito della vita. E prende come esempi Marie Skłodowska-Curie, Yulia Navalnaja, Daphne Caruana Galizia.
Storia e speranza
Il discorso di insediamento passa dai toni aulici ad argomenti concreti, con «interventi legislativi improntati – sottolinea – al bene comune». «Insieme dobbiamo difendere la politica della speranza, il sogno che è l’Europa. […] La nostra deve essere un’Europa che ricorda. Cioè impara dalle lotte del passato e riconosce la lotta di tanti che hanno difeso gli ideali che a volte diamo per scontati». «La nostra Europa deve essere un’Europa che onora la nostra storia comune. E non c’è posto migliore che qui a Strasburgo, nella sede del Parlamento europeo, in questo simbolo vivente di riconciliazione, per ricordare il passato e costruire il futuro».
Unità nella diversità
La presidente punta l’indice verso la «polarizzazione nelle nostre società», arrivando a «politiche conflittuali, persino alla violenza politica». Denuncia il populismo delle «risposte facili» e chi divide in «noi» e «loro». «Ciò fomenta rabbia e odio piuttosto che costruire la speranza». Afferma l’impegno a «essere davvero tutti uguali in Europa», non per omologare le persone e i territori, ma per offrire «a ogni persona la stessa possibilità di realizzare il proprio potenziale. È l’uguaglianza di opportunità che riconosce la nostra differenza» storica, culturale, linguistica. L’Europa «unita nella diversità».
«Troppe donne…».
Definisce – in chiave programmatica – i connotati e le decisioni conseguenti per una «Europa migliore di come l’abbiamo trovata»: investire nella sicurezza e nella difesa, rafforzare mercato unico e competitività, completare l’unione bancaria e dei mercati dei capitali, sostenere l’industria e il commercio, ridurre la burocrazia, realizzare il «pilastro sociale». Ma non trascura l’urgenza di «rimuovere tutte le barriere che impediscono alle persone con disabilità nella nostra Unione di avere le stesse possibilità nella vita di chiunque altro», di «combattere la discriminazione e arginare il crescente antisemitismo o islamofobia». Denuncia: «Troppe donne vengono ancora maltrattate, picchiate, uccise nella nostra Europa. Troppe donne lottano ancora per i diritti. Troppe donne guadagnano ancora meno degli uomini per lo stesso lavoro. Troppe donne hanno paura. Questa deve diventare anche la loro Europa».
«Non avere paura»
Quindi torna all’Ucraina («difendere pace e libertà»), al Medio Oriente (stop alla violenza, rilasciare gli ostaggi, soluzione «due popoli, due Stati»), a Cipro per metà occupata dall’esercito turco. Lo sguardo si alza al mondo, ai conflitti in corso, alle ingiustizie. «Per rinnovare il nostro impegno per l’Europa dobbiamo – secondo le parole del grande santo europeo di Cracovia, Karol Wojtyła – “non avere paura”. Nessuna paura di affrontare gli autocrati, di difendere l’Europa, di costruire un’Unione che funzioni per tutti noi». Infine uno sguardo alle «nuove generazioni di europei», ossia al futuro, «perché – torna a dire tra gli applausi dell’aula – l’Europa è speranza».