Cosa ci vuole trasmettere davvero chi scrive i messaggi dei biscotti della fortuna? Nella tradizione sono un augurio che dovrebbe avere lo scopo di orientare il pensiero verso orizzonti positivi, a volte sono un invito all’azione, a recuperare legami. Nel caso di Fremont, sono una richiesta di aiuto.
La protagonista del film è Donya, una donna afghana ed ex traduttrice per l’esercito americano, che lavora a San Francisco in una fabbrica di biscotti della fortuna. Viene promossa a “scrittrice” dei bigliettini inseriti al loro interno. Nutrendo una speranza indefinita, che neppure lei riesce a identificare, scrive della sua solitudine e delega al messaggio nascosto la possibilità di tornare a sognare. Qualcuno lo troverà.
Fremont (il titolo è il nome della città dove abita Donya) è un film senza un vero e proprio centro. Si alternano sequenze nello studio di uno psicologo, appassionato di Zanna Bianca, con il senso di estraneità nella vita sociale della donna e la conseguente fredda ricerca di relazioni. Il bianco e nero è bellissimo, anche se non molto utile ai fini narrativi. Le scene, che spesso appaiono poco legate tra di loro, espongono un mosaico nella vita di una migrante. L’ironia è sottile, ma molto presente. Come in un film di Kaurismäki, si ride con malinconia. È una comicità basata sull’enfasi riposta nei luoghi sbagliati. Ad esempio: il datore di lavoro elogia la scrittura dei messaggi motivazionali come se fosse una forma di letteratura alta e importantissima per il mondo!
Il cameo di Jeremy Allen White, attore americano sulla cresta dell’onda, è insolito per un film “piccolo” come questo. La sua presenza è però fondamentale: quando appare le trame iniziano a convergere, la storia riprende le fila e tenta di trasformarle in una visione del mondo. Sicuramente lo diventa per la protagonista, che resta un’interessante variazione sul tema dell’orientarsi in una terra nuova.
La sua ricerca della felicità diventa un abbandonarsi a tutto quello che le giornate le presentano davanti, ma è grazie il modo attivo con cui lo fa, leggendo ogni cosa, anche la più banale, come un segno, che il film riesce a trovare la propria originalità.