1.1 – La proposta pastorale è l’anno liturgico che celebra la Pasqua di Gesù
1.2 – Gesù, vero Figlio di Dio, ci rende figli di Dio
1.3 – «Ecco: sto alla porta e busso…» (Ap 3,20): apriamo la porta perché entri il Signore
1.4 – «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17): percorsi per un umanesimo cristiano
2 – LASCIATE RIPOSARE LA TERRA
2.1 – Imparare l’arte di riposare
ANNUNCIO, MISSIONE, SINODALITÀ: RICÒRDATI DEL CAMMINO PERCORSO
1 – La pastorale d’insieme e le Comunità pastorali
2 – Il Sinodo minore “Chiesa dalle genti” e le Assemblee Sinodali Decanali
3 – La pratica sinodale nella missione e nella vita delle nostre comunità
INTRODUZIONE
Sinceramente dimoriamo nello stupore e pratichiamo la riconoscenza: viviamo, infatti, di una vita ricevuta. Ogni risveglio è il tempo per lodare il Signore, come ci insegna la Chiesa che propone le Lodi come preghiera del mattino.
Veramente il criterio del nostro agire è la docilità al Signore che dona il suo Santo Spirito perché tutto cooperi al bene di coloro che amano Dio e in ogni situazione aiuta a riconoscere l’occasione per amare. L’atteggiamento spirituale della docilità allo Spirito di Dio – Spirito di verità, di sapienza, di fortezza – convince a vivere le celebrazioni liturgiche e la preghiera in modo che siano principio di conformazione a Gesù, costante risposta alla vocazione, deciso proposito di conversione.
La proposta pastorale Viviamo di una vita ricevuta, pubblicata per l’anno 2023-2024, è un “programma di lavoro”, piuttosto che un tema da affrontare ed esaurire in un anno pastorale. Gli uffici di Curia hanno avviato proposte di formazione e iniziative che devono avere seguito, incisività, rettifiche, precisazioni in questo anno 2024-2025 e negli anni a venire; la proposta pastorale è stata recepita nelle iniziative di formazione per il clero e per tutti i battezzati nelle comunità del territorio: deve essere un “lavoro” che continua per configurare la mentalità e lo stile della nostra Chiesa diocesana e abilitare noi tutti a rendere ragione della speranza che ci è stata donata. Abbiamo a cuore la speranza di tutti i fratelli e le sorelle con cui condividiamo questo tempo e questa terra e siamo convinti che nella rivelazione di Gesù è offerta a tutti la salvezza, un modo di essere uomini e donne, di essere comunità che porta a compimento la vocazione di ciascuno.
Abbiamo preso sul serio il tema, la pratica e lo stile della sinodalità.
La memoria delle scelte compiute in questi anni è motivo di riconoscenza e di conversione.
Riconosciamo infatti che lo Spirito ha condotto la nostra Chiesa a continuare la missione chiamando alla corresponsabilità tutti i battezzati, cercando la forma di processi decisionali che siano sinodali, configurando la presenza della comunità cristiana nel territorio, affrontando le sfide del presente e le prospettive future. Scegliamo di continuare il processo avviato riconoscendo le fatiche e le ferite, le resistenze che sono chiamate a conversione.
Ricordiamo il cammino compiuto e cerchiamo di rileggerlo sinteticamente nella seconda parte di questa proposta pastorale: Annuncio, missione, sinodalità: ricòrdati del cammino percorso.
Continuiamo a prendere sul serio lo stile della sinodalità.
La formazione dei Consigli pastorali delle Comunità pastorali e delle parrocchie, la formazione dei Consigli per gli affari economici, l’avvio del servizio delle Assemblee Sinodali Decanali richiedono ora un esercizio del consigliare, del discernere, del decidere che si ispiri a quanto acquisito in ascolto delle indicazioni di papa Francesco e della XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi che si concluderà il prossimo ottobre.
I percorsi sinodali delle Chiese che sono in Italia hanno stimolato la nostra Diocesi a qualificare e a interpretare le forme di corresponsabilità che siamo chiamati a praticare ai diversi livelli per dare storia alla intuizione di quella “Chiesa dalle genti” che lo Spirito va edificando nel tempo che viviamo. Nelle Assemblee Sinodali della Chiesa italiana, in programma per i prossimi mesi (15-17 novembre 2024; 31 marzo – 4 aprile 2025), potremo condividere il nostro contributo ed essere arricchiti dal contributo di tutti.
L’indizione dell’anno del Giubileo ordinario con la Bolla pubblicata da papa Francesco il 9 maggio 2024 Spes non confundit, “La speranza non delude” (Rm 5,5), offre a tutti la grazia di farci pellegrini di speranza. Desideriamo accogliere i doni di grazia, gli inviti a conversione, le indulgenze che sono offerte e perciò abbiamo bisogno di comprendere e di partecipare a quegli eventi che ci consentiranno di purificare la nostra vita e di far risplendere la speranza che non delude.
La proposta pastorale 2024-2025 Basta. L’amore che salva e il male insopportabile invita a rinnovare la fiducia nella grazia di Dio che basta per perseverare nella vita cristiana e propone di dire “basta!” al male con cui i figli degli uomini tormentano gli altri e se stessi.
Invito pertanto a perseverare nella gratitudine e nella docilità, accogliendo la grazia di Dio che si riconosce in ogni storia di libertà e in ogni situazione e che nella celebrazione dei santi misteri viene donata con fedeltà sovrabbondante, e invito a resistere al male continuando con tenacia e sapienza a essere operatori di pace.
1 – TI BASTA LA MIA GRAZIA
Ecco: è il Signore! Nel quotidiano splendido o tragico, noioso o entusiasmante, deprimente o esaltante, frenetico o tranquillo, gratificante o frustrante, i discepoli, se aprono gli occhi della fede, riconoscono la presenza di Gesù, il Signore. A lui confidano le loro gioie e il tormento che non li lascia tranquilli. Come Paolo, noi lo preghiamo e anche noi siamo illuminati e incoraggiati dalla parola che il Signore ci rivolge:
Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.
(2Cor 12,7-10)
Paolo, nel vivo della sua esperienza apostolica, intuisce una via divina che si deve necessariamente percorrere: lo smantellamento della nostra superbia apre uno spazio in cui si fa percepibile in modo limpido che tutto è frutto del dono del Signore, potenza sua che si manifesta proprio nella nostra debolezza. E questo “basta”. Ricordiamo con gratitudine che il testo di Paolo è stato scelto dal cardinale Angelo Scola come ispirazione per il suo motto episcopale Sufficit Gratia Tua.
Le parole di tanti uomini e donne di Dio sono testimonianze preziose di questa esperienza di grazia e di affidamento. Così abbiamo imparato a cantare le parole di Teresa d’Avila:
Nada te turbe, nada te espante, todo se pasa. Dios no se muda, la paciencia todo lo alcanza, quien a Dios tiene nada le falta. Sólo Dios basta.
E Ignazio di Loyola suggerisce le parole per rispondere alla grazia che basta:
Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; tu me lo hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo la tua volontà: dammi solo il tuo amore e la tua grazia, ché questa mi basta.
Ignazio di Loyola propone questa preghiera a colui che negli esercizi spirituali ha percorso il cammino di ricerca del Signore e di purificazione della libertà: il dono di tutto da parte del Signore – amore e grazia –
ha suscitato definitivamente la scelta di ridonare tutto quanto si possiede secondo la volontà divina. E questo “basta”.
Viviamo nel rendimento di grazie perché sperimentiamo e viviamo e crediamo che il Signore ci ricolma di ogni bene e compie grandi cose nella vita delle persone e delle comunità.
Sappiamo che nelle prove, nella sofferenza per le spine nella carne, il Signore ci dona la grazia sufficiente per credere e per perseverare nella missione.
Questo ci dona anche la chiarezza e il coraggio di dire “basta” a quanto fa dimenticare il dono del Signore o a quanto lo contrasta esplicitamente.
1.1 – La proposta pastorale è l’anno liturgico che celebra la Pasqua di Gesù
Il centro della proposta pastorale è sempre l’anno liturgico, ossia la celebrazione del mistero di Cristo, che si distende nell’arco temporale dell’anno per farci rivivere i misteri della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione sino al dono dello Spirito, ossia al mistero della Pentecoste, da cui nasce la Chiesa. Così ogni battezzato e tutto il popolo dei battezzati si dispongono per divenire la dimora in cui abita la “potenza di Cristo”.
La proposta pastorale pertanto mira a favorire le condizioni per accogliere la grazia che Dio offre, la comunione con Gesù che lo Spirito Santo realizza nella celebrazione eucaristica e che è custodita nella preghiera liturgica, nella preghiera personale, nella contemplazione e nella pratica della carità.
Ritengo pertanto doveroso richiamare a riconoscere il primato della grazia e quindi l’irrinunciabile dimorare nella dimensione contemplativa della vita, nell’ascolto della Parola e nella centralità della Pasqua di Gesù che si celebra nell’Eucaristia.
Dobbiamo vigilare. Infatti la tradizione operosa che caratterizza le nostre comunità e l’inclinazione spontanea degli operatori pastorali sono esposte alla tentazione di diventare un protagonismo frenetico: soprattutto i preti, ma anche i diaconi, i consacrati e le consacrate e i laici che condividono la responsabilità pastorale sono tentati di identificare lo zelo con le prestazioni, l’onnipresenza e il controllo; la gente è tentata di identificare l’appartenenza alla comunità con la pretesa di essere servita e con l’ingenuità di vedere riprodotti calendari e abitudini che erano consueti in un altro tempo e in un’altra situazione ecclesiale. Ne viene spesso un senso di frustrazione e di insoddisfazione che avvolge di malumore la bellezza della vita delle nostre comunità, così generose, accoglienti, geniali nel fare il bene.
1.2 – Gesù, vero Figlio di Dio, ci rende figli di Dio3
Il dono dello Spirito di Gesù ci “divinizza” perché ci rende una cosa sola con Gesù, partecipi della sua vita divina. Nei primi secoli della storia della Chiesa i cristiani hanno molto pregato, pensato, sofferto per difendere l’essenziale verità a proposito di Gesù, contrastando tendenze a semplificare il mistero per renderlo meno scandaloso per il pensiero religioso e filosofico di quei secoli.
Questa drammatica vicenda ha condotto alla professione di fede del Concilio di Nicea, nell’anno 325, che è parte fondamentale del simbolo niceno-costantinopolitano proclamato nelle nostre assemblee durante le celebrazioni domenicali e festive.
Si compiono nel 2025 i 1700 anni dal Concilio di Nicea: è provvidenziale ricordare e celebrare quell’evento e approfondire la parola difficile e irrinunciabile che i padri di Nicea hanno formulato per dire la loro fede: il Figlio è della stessa sostanza del Padre.
Come possiamo dire questa verità perché non sia solo una formula da ripetere? Come può l’affermazione della verità della relazione del Figlio con il Padre essere fonte di vita e di pensiero per il nostro tempo e per la proclamazione della verità cristiana a coloro che ci domandano ragione della nostra fede?
1.3 – «Ecco: sto alla porta e busso…» (Ap 3,20): apriamo la porta perché entri il Signore
Le condizioni personali e comunitarie per accogliere la grazia della vita di Dio in noi devono essere oggetto di costante attenzione, di fiduciosa coltivazione delle competenze e della disponibilità.
Il servizio dell’accoglienza per la comunità che si raduna, la cura per l’attenzione durante la celebrazione, i riti del congedo sono necessari per evitare un consumo individualistico della Messa e mettere in evidenza la carità che fa dei molti un cuore solo e un’anima sola.
Con ammirazione e gratitudine constatiamo che questa carità prosegue e si fa azione nei tanti gesti e nelle tante opere che stanno fiorendo in questi anni nelle nostre comunità (pensiamo ai centri di ascolto, alle Case della carità, agli empori solidali, ai distretti del Fondo Diamo Lavoro, alle tante iniziative dei gruppi caritativi…): perché tutto questo nostro ardore non si riduca a sola azione sociale abbiamo bisogno di dare sempre evidenza al suo legame sorgivo con la grazia di Dio che sgorga dai sacramenti, dall’Eucaristia in particolare.
L’introduzione della seconda edizione del Messale Ambrosiano è occasione per riprendere il tema del celebrare, per rendere le celebrazioni attrattive e edificanti per tutto il popolo di Dio.
Il Messale può essere illuminante anche per la preghiera personale. Per noi ambrosiani, la ricchezza dei prefazi è un’autentica miniera di spiritualità.
Può essere pure circostanza propizia per costituire, là dove non ci fosse, o per rimotivare il gruppo liturgico parrocchiale. In ogni comunità esso, unitamente a tutti i collaboratori nelle diverse attività liturgiche, deve attivarsi per conoscere le indicazioni, interrogarsi sulla loro attuazione, verificare che le parole non risuonino invano, i silenzi non siano un vuoto noioso, i canti non siano un intermezzo tra le azioni, le sollecitazioni alla creatività non siano sciupate nell’inerzia e negli automatismi della ripetizione. Si deve riconoscere che, purtroppo, la proclamazione della Parola di Dio durante le celebrazioni, la qualità del cantare, dei canti scelti e della partecipazione dell’assemblea, non sempre rivelano quell’attenzione che favorisce l’incisività, la bellezza, l’intima adesione delle persone ai misteri che sono celebrati.
Curando l’accoglienza non si deve mai dimenticare che il popolo di Dio comprende tutti i battezzati, anche coloro per i quali andare in chiesa, ascoltare la Parola, comprendere i segni liturgici è molto difficile o impossibile perché sono impediti dalla sordità, dalla difficoltà di deambulare, dalla cecità, dalle tante forme di disabilità, spesso poco visibili, che abitano le nostre comunità.
Il piccolo gruppo di coloro che si stanno formando per l’istituzione dei ministeri laicali del Lettorato, dell’Accolitato, del Catechista è preparato perché possa assumere un servizio qualificato nelle comunità, in collaborazione con i preti che hanno la responsabilità della presidenza. Il loro servizio dovrà farsi carico di coadiuvare tutti coloro che operano nei rispettivi ambiti perché insieme si contribuisca a rendere più manifesta la centralità dei misteri celebrati e la loro incisività nella vita di ciascuno e di tutta la comunità.
L’anno liturgico ci fa celebrare anche la ricchezza e la fecondità della grazia nella vita dei santi. A questo proposito condividiamo la gioia per la notizia tanto attesa della canonizzazione del beato Carlo Acutis.
Nella vita di Carlo si realizza la parola di Paolo che ho voluto richiamare all’inizio di questa mia lettera. In Carlo Acutis adolescente vedo l’espressione di questa debolezza umana, che è nostro tratto caratteristico: una fragilità – come affermiamo comunemente – che non smentisce la grazia di Dio ma, al contrario, diventa la condizione fondamentale per poterla accogliere e ospitare. In Carlo Acutis adolescente vedo la sincera sensibilità e attenzione verso i più poveri: non ha fatto delle fragilità altrui l’occasione di un giudizio, ma le ha vissute come una vocazione. In Carlo Acutis adolescente vedo i segni di una malattia improvvisa e spietata, vissuta come occasione per decidersi nell’amicizia di Gesù.
Invito in particolare i ragazzi, gli adolescenti e i giovani della nostra Diocesi a guardare al giovane Carlo Acutis per diventare con lui amici di Gesù, per riconoscere che le debolezze personali sono il luogo in cui si manifesta la forza misteriosa di Dio, per scoprire che ciascuno è chiamato alla santità, in qualunque situazione della vita si trovi.
1.4 – «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17): percorsi per un umanesimo cristiano
Il dono dello Spirito, che è donato senza misura nella Parola che illumina i nostri passi, nella celebrazione che rende partecipi della vita divina, configura la nostra umanità all’umanità del Figlio di Dio, glorificato alla destra del Padre.
Viviamo di questa grazia, della vita ricevuta. Ancora e sempre dobbiamo imparare a ricevere questa grazia: essa “basta” per la nostra sete di felicità, per la nostra vocazione alla santità.
Come ho ricordato nell’introduzione, ciascuno, secondo il suo ruolo e le sue responsabilità, è chiamato a continuare, verificare, riprendere con pazienza e lungimiranza il “programma di lavoro” che è indicato nella proposta pastorale dell’anno 2023-2024 Viviamo di una vita ricevuta.
1.5 – «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17): la pratica originale della corresponsabilità nella comunità cristiana
Per dare forma alla comunità cristiana basta la grazia di Dio: è lo Spirito che fa crescere, è lo Spirito che arricchisce dei suoi doni, è lo Spirito che fa dei molti una cosa sola facendo memoria di Gesù. La Chiesa è così configurata come un unico corpo con molte membra, come una comunità unita, libera, lieta.
L’originalità cristiana si deve manifestare anche nella elaborazione delle decisioni, nella condivisione delle responsabilità, nella pratica del discernimento comunitario. Sono esigenze e formulazioni che rischiano di suonare retoriche o impraticabili, se non si impara un vero radunarsi per convocazione dello Spirito di Cristo, un vero desiderio di camminare insieme, un vero gareggiare nello stimarsi a vicenda.
Come ho indicato, abbiamo preso sul serio e seriamente impariamo e pratichiamo la sinodalità nei Consigli pastorali rinnovati, nel Consiglio per gli affari economici, nelle Assemblee Sinodali Decanali. Testimoniamo l’originalità cristiana nel prendere decisioni cristiane inseriti nei cammini sinodali della Chiesa italiana e nella XVI Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi che giungerà a conclusione con il prossimo ottobre.
2 – LASCIATE RIPOSARE LA TERRA
2.1 – Imparare l’arte di riposare
L’anno del Grande Giubileo nella tradizione biblica richiede una prassi di condono dei debiti e di sospensione dei lavori intensivi per sfruttare al massimo la terra. Nella idealizzazione del libro del Levitico si parla di «riposo assoluto per la terra» e si specifica: «Non seminerai… non poterai la tua vigna. Non mieterai… non vendemmierai…; sarà un anno di completo riposo per la terra» (Lv 25,4-5). Consideriamo con realismo la tradizione, ma non vorremmo dimenticare del tutto che il Giubileo può assumere anche tratti di un tempo sabbatico, cioè della sospensione delle attività consuete per momenti più distesi di riposo per tutti, per i figli di Israele, per gli schiavi, per gli stranieri, persino per gli animali.
Non si tratta ora di ricostituire la prassi giudaica e di ricavarne indicazioni praticabili per noi. Piuttosto mi sembra opportuno suggerire che l’anno del Giubileo offra l’occasione per una sosta di riflessione, di considerazione riconoscente del cammino compiuto, anche per esercitare la libertà possibile rispetto alle scadenze e agli adempimenti imposti dal calendario.
L’anno giubilare deve offrire anche occasioni per rivedere le cose che si fanno, quelle che si sono sempre fatte, quelle che si dovrebbero fare. Sarà possibile per ogni comunità, per ogni Consiglio pastorale, per ogni fraternità del clero, confrontarsi con franchezza e senso di responsabilità per riconoscere nelle forme della pastorale ordinaria la bellezza, l’efficacia e insieme la relatività. I calendari congestionati e ripetitivi, i ritmi frenetici che finiscono per essere imposti ai preti e agli operatori pastorali più disponibili devono essere oggetto di una verifica critica.
Nell’anno giubilare è opportuno che ci sia un tempo, per esempio il mese di gennaio, non tanto per ulteriori riunioni e discussioni, ma per sospendere, per quanto è possibile, le attività ordinarie e vivere un “tempo sabbatico”, dedicato non a fare qualche cosa, ma a raccogliersi in una preghiera più distesa, in conversazioni più gratuite, in serate familiari più tranquille.
Crediamo infatti che “basta la grazia di Dio”: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27). Non siamo mai esonerati dalle nostre responsabilità, ma ci fa bene, di tanto in tanto, riposare e lasciar riposare la terra.
2.2 – Basta con il peccato
Popolo mio, che cosa ti ho fatto?
In che cosa ti ho stancato? Rispondimi.
Forse perché ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto,
ti ho riscattato dalla condizione servile
e ho mandato davanti a te
Mosè, Aronne e Maria?
Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono
e ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia,
amare la bontà,
camminare umilmente con il tuo Dio.
(Mi 6,3-4.8)
Anima mia, basta ormai col peccato. Pensa che puoi cadere a un tratto nell’eterno tormento, dove non c’è penitenza e il pianto non vale più a nulla. Convertiti, ora che il tempo della salvezza ti è dato e grida al Signore Gesù: «Pietà di me, tu che salvi!».
(Messale Ambrosiano, All’ingresso, ferie della seconda settimana di Quaresima)
L’annuncio della salvezza, la proclamazione del Vangelo, la pratica della lectio perché la Parola di Dio sia lampada per il cammino della vita, invitano ad accogliere il dono della vita nuova. La “vita vecchia” è insopportabile: basta con il peccato!
L’anno del Giubileo offre l’occasione provvidenziale per sperimentare che il fastidio, la noia, lo scoraggiamento, la scarsa stima di sé che il peccato insinua in noi non si riducono a sospirare una liberazione, a dire “basta!”, ma ci chiamano a metterci in cammino come pellegrini di speranza per ottenere il perdono e la bellezza, la gioia della vita di Dio in noi.
Per reagire al rischio della banalità, per dissolvere le nebbie della confusione, per essere sinceri nel confronto con il Signore ed evitare di giustificare tutto quello che si fa non basta considerare i pericoli dell’ostinazione nel male, l’oppressione dell’irrimediabile. Lo sguardo rivolto al Signore crocifisso, l’ascolto della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa ispirano la coscienza del peccato e la verità del pentimento.
I percorsi penitenziali e il sacramento della Riconciliazione sono risposta alla Parola del Signore che suscita la fede: nella fede la coscienza di ciascuno è illuminata per riconoscere il bene ricevuto e rendere grazie, per riconoscere i propri peccati e chiedere perdono, per addolorarsi per il male compiuto e le relazioni rovinate e cercare la riconciliazione.
L’anno liturgico, ogni anno, e l’anno giubilare richiamano a conversione e a opere di penitenza perché il perdono di Dio ricostruisca libertà umiliate e vite sbagliate.
La celebrazione dei santi misteri chiede di essere curata, compresa, partecipata perché sia esperienza della misericordia che riconcilia con Dio, con la comunità, con i fratelli e le sorelle.
In questo anno in modo particolare è necessario che i fedeli che celebrano l’Eucaristia siano aiutati a essere attenti alle richieste di perdono per assumere l’atteggiamento grato dei peccatori pentiti e perdonati.
Una specifica attenzione deve essere rivolta alla cura per la celebrazione del sacramento della Riconciliazione o Penitenza.
Le chiese giubilari […] potranno essere oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione.
(Papa Francesco, Spes non confundit, n. 5)
Si deve aiutare a realizzare una preparazione adeguata, istruita dalla catechesi, sussidiata con sapienza e celebrata nelle diverse forme suggerite dalla Chiesa.
La forma della confessione e assoluzione individuale è la più diffusa. È esposta al rischio di un’enfasi sproporzionata sul “dire i peccati”, piuttosto che sul celebrare la grazia del perdono. È esposta anche al rischio di essere una pratica troppo individualistica.
Pertanto è saggio proporre, motivare e curare la celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione e assoluzione individuale. La riconciliazione con Dio è dono dello Spirito Santo che opera nel sacramento: il peccatore pentito riceve pace e perdono nella Chiesa per essere presenza viva nella Chiesa.
La dimensione ecclesiale del peccato e della riconciliazione è troppo ignorata. La predicazione, le forme celebrative, la valorizzazione di momenti penitenziali comunitari possono essere di aiuto per quel sentirsi un cuore solo e un’anima sola che rende abituale pregare gli uni per gli altri, essere a servizio gli uni degli altri.
Nella dimensione ecclesiale della riconciliazione è opportuno offrire cammini di discernimento per coloro che vivono percorsi personali e di coppia segnati da vicende complicate e dolorose, raccogliendo con attenzione le indicazioni di Amoris Laetitia.
Può essere un aiuto per una più avvertita consapevolezza della relazione ecclesiale anche l’opera penitenziale che completa la celebrazione del sacramento della Riconciliazione. Il confessore può suggerire anche un’opera di carità per il bene degli altri o della comunità oltre che una preghiera o un atto di devozione.
Non si può ignorare che molti battezzati hanno abbandonato il sacramento della Riconciliazione. Durante l’anno giubilare è doveroso domandarsi perché. È anche il momento opportuno per offrire proposte per una più realistica e intelligente comprensione del sacramento e delle sue diverse forme e anche indicare momenti per accostarsi al sacramento personalmente e comunitariamente. È quindi doveroso che i preti siano preparati e disponibili per questo ministero, sia nella vita ordinaria delle comunità sia in santuari e chiese particolarmente dedicate sia in luoghi e tempi che durante l’anno giubilare devono essere indicati.
Potrebbe essere significativo che, alle porte della chiesa, insieme all’orario delle celebrazioni delle Messe, sia indicato anche l’orario in cui i sacerdoti sono disponibili per il sacramento della confessione.
I sacerdoti non dimentichino che il ministero della riconciliazione è un aspetto significativo della loro paternità e un’espressione importante della fecondità del loro celibato.
Il Giubileo è un tempo di grazia per la conversione, la richiesta di perdono, la partecipazione alla comunione dei santi che è il principio delle indulgenze, come ricorda papa Francesco (cfr. Spes non confundit, n. 23).
2.3 – Basta con la guerra
La guerra è un dramma tremendo, un disastroso errore politico, una assurdità per la coscienza e il pensiero delle persone sensate. Eppure, a quanto pare, l’intollerabile è tollerato. Noi figli e figlie di Dio, discepoli di Gesù e tutti gli uomini e le donne di buona volontà e di buon senso dobbiamo essere uniti nel gridare: basta con la guerra! Basta!
Basta con le atrocità che si commettono in tante parti della terra!
Basta con le ferite inguaribili che segnano la vita di persone e di popoli!
Basta con il risentimento e l’odio che si radicano nell’animo delle persone!
Basta con lo sperpero scandaloso di immense risorse per distruggere!
Basta con l’angoscia per il futuro!
Basta con l’incapacità di intravedere vie d’uscita, possibilità di tregue e di pace.
La fiducia nell’umanità, nelle istituzioni, nella cultura, nelle religioni è messa a dura prova.
Ci uniamo a papa Francesco per invocare segni di pace come i segni necessari per il Giubileo.
Ci sembra di essere inascoltati da politici impotenti e forse inclini piuttosto a incrementare gli armamenti che a costruire la pace.
Perciò invito tutte le comunità a vivere con particolare impegno quel servizio che è più coerente con la nostra missione e promettente, cioè l’educazione alla pace.
La pace non può essere desiderata solo come una rassicurazione egoistica di coloro che temono di essere disturbati nella loro tranquillità o impoveriti delle risorse necessarie per il loro benessere. L’educazione alla pace deve piuttosto incidere nel proporre una visione del mondo, della storia, delle persone che ispiri l’opera di riconciliazione tra i popoli, che offra motivazioni convincenti per edificare la coscienza e le opere della fraternità.
È quindi doveroso che le nostre comunità, le istituzioni culturali, gli uffici di Curia, le scuole, le università, secondo le loro specifiche competenze, operino per convergere in una educazione alla pace e nella cura per una cultura di pace.
Mi limito a indicare alcune attenzioni irrinunciabili.
La proposta di momenti di preghiera, di ascolto delle parole della Scrittura interpretate secondo la rivelazione cristiana è un passo decisivo. Nella nostra tradizione (penso ad alcune pagine delle Scritture, ma anche ad alcuni episodi del cristianesimo), così come in altre tradizioni religiose e come in realtà in tutta la storia dell’umanità, si racconta di tante guerre e si presentano tante motivazioni persino teologiche per fare la guerra. La rivelazione si è, però, compiuta in Gesù, principe della pace, agnello per la nuova alleanza. E tutte le Scritture, come pure tutta la storia, devono essere interpretate secondo il compimento nel Verbo di Dio fatto carne, centro e vertice di tutte le parole raccolte nelle Scritture.
Dobbiamo incoraggiare, per quanto possiamo, coloro che sono impegnati nella ricerca e nello studio, nell’insegnamento e nella pubblicazione perché si diffonda non solo un sentimento di pace, ma una cultura di pace, in ambito filosofico, storico, giuridico, economico. Con la guerra tutto è perduto!
La comunicazione, con qualsiasi mezzo disponibile, può dare un contributo a contrastare quel modo di descrivere i popoli, le tradizioni culturali, le ricostruzioni storiche che offrono motivo di disprezzo, di risentimento, di insofferenza.
Chi racconta il punto di vista delle vittime? Quale responsabilità si assumono coloro che raccontano le vicende drammatiche di popoli interi e di persone e famiglie dal punto di vista degli aggressori, dal punto di vista di spettatori lontani, attenti solo ai propri interessi, indifferenti al soffrire, al morire di fratelli e sorelle?
Le attività di solidarietà, la pratica della carità, le proposte di animazione possono offrire un significativo contributo educativo. Tutti abbiamo molto da imparare dagli incontri tra le persone coinvolte, vittime, testimoni, dalla conoscenza diretta di situazioni e di culture, dal prodigarsi per soccorrere le vittime della guerra, i poveri, i mutilati, gli orfani, gli sfollati, i migranti. Le proposte educative offerte dalla Diocesi negli ambiti scolastici, nei diversi contesti di vita, negli ambienti ecclesiali devono convergere per offrire a tutti buone ragioni per pensare la pace, cercare la pace, operare per la pace.
L’impegno illuminato in politica, il dialogo con coloro che sono stati eletti, la formazione di uomini e donne disponibili e capaci per gli impegni politici e amministrativi è un servizio importante che le comunità cristiane possono offrire. I buoni sentimenti, le buone idee, i rapporti corretti devono diventare elaborazioni di progetti, di leggi, di finanziamenti per imprese e opere di pace: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura.
(cfr. Spes non confundit, n. 8)
CONCLUSIONE
Preghiamo con papa Francesco la preghiera del Giubileo 2025.
Padre che sei nei cieli,
la fede che ci hai donato nel tuo figlio Gesù Cristo, nostro fratello,
e la fiamma di carità effusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo,
ridestino in noi la beata speranza per l’avvento del tuo Regno.
La tua grazia ci trasformi in coltivatori operosi dei semi evangelici che lievitino l’umanità e il cosmo,
nell’attesa fiduciosa dei cieli nuovi e della terra nuova,
quando, vinte le potenze del Male, si manifesterà per sempre la tua gloria.
La grazia del Giubileo ravvivi in noi Pellegrini di Speranza,
l’anelito verso i beni celesti e riversi sul mondo intero la gioia e la pace del nostro Redentore.
A te Dio benedetto in eterno sia lode e gloria nei secoli.
Amen.
ANNUNCIO, MISSIONE, SINODALITÀ: RICÒRDATI DEL CAMMINO PERCORSO
Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
(Deuteronomio 8,2-3)
La nostra Chiesa ambrosiana, in occasione della Visita ad limina dei Vescovi lombardi (29 gennaio – 2 febbraio 2024), aveva già raccolto in sintesi il senso del suo cammino di questi anni per affidarlo al santo Padre. Ora, alla luce del testo preparato per quell’occasione e alla soglia del Giubileo 2025, può sostare di fronte ai passi compiuti con l’intenzione di mettere al centro la missione, così da farne memoria riconoscente, da assumerli con responsabilità e creatività, per rilanciare nel futuro il suo cammino, in obbediente ascolto a quanto il Sinodo dei Vescovi e il cammino sinodale delle Chiese in Italia ci stanno proponendo.
In questi anni lo Spirito di Dio, nelle consolazioni e nelle strettoie che vengono dalla storia contemporanea, ha ispirato questi orientamenti e queste decisioni.
1 – La pastorale d’insieme e le Comunità pastorali
Pastorale d’insieme missionaria e presbiterio
La prima decisione è stata presa dal cardinale Tettamanzi (Messa crismale, 13 aprile 2006) – come rivisitazione della sperimentazione avviata con il Sinodo 47° e realizzata negli anni precedenti nelle Unità pastorali – e riproposta dopo una verifica delle esperienze in atto dal cardinale Scola (28 maggio 2013) per una riforma della presenza della Chiesa nel territorio e una conseguente riforma del clero.
La costituzione delle Comunità pastorali mira infatti alla riorganizzazione delle parrocchie e della pastorale del territorio con l’intenzione di promuovere una “pastorale d’insieme” strutturata, che custodisca la presenza capillare e l’identità delle parrocchie e insieme consenta di condividere progetti, percorsi, risorse per la vita interna delle comunità e per la missione sul territorio.
La costituzione della Comunità pastorale implica anche la “riforma del clero”, nel senso che recepisce quella insistenza del magistero del Concilio Vaticano II che definisce il prete anzitutto come membro del presbiterio e partecipe di un ministero di natura collegiale: la comunione con il vescovo, con gli altri presbiteri, con i diaconi permanenti, definisce la vita personale del prete come vita fraterna inserita nella cosiddetta fraternità del clero e il suo ministero come servizio pastorale condiviso a favore del popolo di Dio determinato da un progetto pastorale che ha negli organismi di partecipazione (il Consiglio episcopale, i Consigli pastorali diocesano e presbiterale, i Consigli pastorali parrocchiali e di Comunità pastorali) il luogo di elaborazione, definizione e verifica. Gli incontri decanali di “fraternità del clero” offrono opportunità di formazione per vivere il ministero ordinato nel presbiterio.
Luci e ombre del cammino percorso
La costituzione delle Comunità pastorali e la riforma del clero hanno causato sofferenze, malumori, smarrimenti. Ci sono state fatiche dovute a decisioni non adeguatamente preparate, ad accompagnamenti di preti e comunità insufficienti. Le comunità parrocchiali unite in un cammino comune hanno sentito minacciata la loro identità e trascurate le legittime esigenze per l’assenza di un proprio parroco. I presbiteri non si sono sentiti pronti o accompagnati nel passare dall’essere parroci o vicari di una parrocchia all’essere impegnati insieme nella pastorale a servizio di diverse parrocchie unite nella Comunità pastorale.
Il trascorrere del tempo ha consentito di proporre percorsi di formazione, rettifiche nelle scelte, coinvolgimenti di laici, di consacrati e consacrate che, se non hanno diminuito le fatiche né spento il malumore, hanno però convinto che la strada intrapresa (cioè la pastorale di insieme e la fraternità del clero) realizza scelte promettenti senza che si vedano alternative migliori. Indubbi vantaggi si notano nella celebrazione dell’anno liturgico, nelle sinergie in ambito educativo e caritativo, nel dialogo con le autorità civili e nella collaborazione con le molte agenzie presenti nel territorio.
Si deve però riconoscere che l’intenzione originaria della costituzione delle Comunità pastorali come strumento più adeguato per una pastorale più impegnata nella missione e nella evangelizzazione del territorio non è stata attuata ancora in modo persuasivo. La riforma ha impegnato molte energie nella riorganizzazione interna della vita delle comunità cristiane piuttosto che nell’animare uno spirito e nel realizzare iniziative orientate all’annuncio del Vangelo e alla convocazione della comunità dei credenti.
Una nuova tappa
Il cammino ha visto una nuova tappa significativa nel lavoro di revisione delle indicazioni diocesane sulle Comunità pastorali, che è giunto a compimento in concomitanza con l’avvio del Sinodo delle Chiese in Italia.
Il lavoro di revisione è stato realizzato a partire da una consultazione che ha coinvolto il Consiglio pastorale diocesano (27 febbraio 2021), il Consiglio presbiterale (2-3 maggio 2022) e i decani (il 15 marzo 2022 e, nell’estate 2022, a livello zonale), approdando alla proposta di un Direttorio aggiornato, che raccoglie il frutto dell’esperienza di sedici anni, mostrando la prospettiva missionaria da cui le Comunità pastorali sono nate e quella sinodale in cui sono orientate a muoversi.
2 – Il Sinodo minore “Chiesa dalle genti” e le Assemblee Sinodali Decanali.
L’intuizione
La seconda decisione è stata la convocazione (14 gennaio 2018) e la celebrazione del Sinodo minore “Chiesa dalle genti”, con la promulgazione del documento conclusivo (2 febbraio 2019). La società in cui vive e opera la comunità cristiana diocesana si è evoluta profondamente negli ultimi decenni giungendo a essere – a motivo di molti fattori e in particolare di quello migratorio – multietnica, multireligiosa, multiculturale. In una società trasformata anche la Chiesa si trasforma o si deve trasformare per essere Chiesa cattolica e missionaria. Di qui la necessità di rivedere alcuni orientamenti espressi dal Sinodo diocesano XLVII nel Libro Sinodale (1995).
Prospettive sorprendenti
La consultazione e poi l’elaborazione del documento conclusivo hanno fatto maturare l’intenzione iniziale anzitutto grazie alla presa di coscienza del fatto che l’accoglienza della nostra Chiesa nei confronti dei migranti non può ridursi agli aspetti assistenziali e caritativi, né essere ridotta a integrazione, nel senso dell’omologazione alle tradizioni e allo stile della comunità ambrosiana. Si è poi fatto un ulteriore passo in avanti comprendendo che l’esito desiderabile non può essere che ogni comunità mantenga vive le sue tradizioni con la costituzione di comunità etniche. “Chiesa dalle genti” significa che deve prendere forma una Chiesa rinnovata nella sua unità e cattolicità, arricchita dall’apporto di tutte le tradizioni che qui convergono, in modo tale che ciascuno, entrando in chiesa, viva l’esperienza di entrare nella “sua” Chiesa. Infine è emerso con chiarezza che a trasformare il nostro contesto non è stata semplicemente la presenza dei migranti, ma un profondo mutamento culturale per il quale, come ci ricorda frequentemente lo stesso papa Francesco, non viviamo più in un regime di cristianità perché la fede non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata.
Una ricezione in fieri: per pensare insieme la missione
La ricezione delle costituzioni sinodali Chiesa dalle genti, responsabilità e prospettive. Orientamenti e norme[1] è stata accompagnata dalla nascita della Consulta diocesana per la Chiesa dalle genti, voluta proprio per suggerire e attuare nel variegato territorio, geografico ed esistenziale, della Diocesi i passi più opportuni da compiere per dare attuazione ai nuovi indirizzi pastorali.
Un primo tentativo è stato quello di costituire in ogni decanato una “Assemblea decanale Chiesa dalle genti”. Ben presto si è compreso come fosse necessario procedere in modo più graduale e condiviso.[2] È stata perciò costituita una Commissione congiunta dei Consigli diocesani – pastorale e presbiterale – che ha elaborato la proposta di costituire in ogni decanato le Assemblee Sinodali Decanali, organismi missionari a forte trazione laicale, per permettere a tutto il popolo di Dio di partecipare alla lettura del territorio e alle scelte pastorali per la missione.[3]
La consapevolezza della necessità di procedere con gradualità ha indotto a costituire in ogni decanato prima il cosiddetto “Gruppo Barnaba”, il nucleo apostolico incaricato di avviare il processo auspicato verso l’Assemblea Sinodale Decanale. Ogni Gruppo Barnaba si è anzitutto impegnato a recensire tutte le realtà presenti, ecclesiali e civili, tra le quali in particolare le comunità etniche, onde poi esplorare quali fossero le vie più promettenti per annunciare il Vangelo nei diversi ambienti di vita e radunare i credenti nell’unica “Chiesa dalle genti”. Il Gruppo Barnaba è stato accolto in quasi tutti i decanati con un certo entusiasmo da laici convinti e contenti di “riconoscere” gli ambienti della vita ordinaria come già abitati dallo Spirito di Dio e insieme assetati di una Parola di Vangelo; qualche obiezione alla creazione di un “organismo in più” ha permesso di chiarire la sua utilità e la reale praticabilità dei suoi intenti.
Dopo la fase della conoscenza e lettura del territorio compiuta dai Gruppi Barnaba, si stanno ora avviando le Assemblee Sinodali Decanali, organismi composti soprattutto da laici, con la presenza anche di consacrati, diaconi permanenti e preti, che hanno il compito di decidere come vivere la missione negli ambienti di vita esplorati dal Gruppo Barnaba.
[1] Cfr. Chiesa dalle genti, responsabilità e prospettive. Orientamenti e norme, Centro Ambrosiano, Milano 2019.
[2] Cfr. Artigiani di una Chiesa sinodale, Centro Ambrosiano, Milano 2021, pp. 7-14.
[3] Il Consiglio presbiterale ha esaminato la proposta nella sessione del 12-13 ottobre 2020; il Consiglio pastorale in quella del 21-22 novembre 2020.
3 – La pratica sinodale nella missione e nella vita delle nostre comunità
La responsabilità di tutto il popolo di Dio
La vita cristiana ha nel mistero di Cristo il suo principio e il suo criterio. La sua celebrazione nell’Eucaristia alimenta la fede, realizza la comunione e rende ardenti per la missione. Coloro che partecipano alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia devono quindi essere tutti responsabili dell’annuncio del Vangelo, personalmente e insieme. La pratica sinodale, il metodo cristiano per prendere decisioni cristiane, è la modalità attraverso la quale dare concreta attuazione alla corresponsabilità per la missione. Con queste indicazioni si è avviato il percorso che ha portato alla costituzione e all’attività delle Assemblee Sinodali Decanali.
Il rinnovo dei Consigli pastorali e per gli affari economici
In questa medesima prospettiva si è svolto il processo che ha preparato e intende accompagnare il rinnovo dei Consigli pastorali e per gli affari economici parrocchiali e di Comunità pastorale.
Si è avviato nel maggio 2023, con la proposta a tutti i Consigli parrocchiali e di Comunità pastorale di attuare una rilettura – attraverso il metodo della “conversazione nello Spirito” – dell’esperienza vissuta nel mandato in corso, dando suggerimenti per l’aggiornamento del Direttorio, grazie a un questionario. Sui risultati hanno lavorato il Consiglio pastorale diocesano e il Consiglio presbiterale, proponendo modifiche al Direttorio e la strutturazione di un percorso per arrivare al rinnovo dei Consigli. Il Direttorio dà indicazioni per un incremento della sinodalità, in prospettiva decisamente missionaria, degli organi di partecipazione, sia nel processo di costituzione sia nello stile e metodo di conduzione, proponendo importanti precisazioni sul tema della consultività ecclesiale. Raccomanda infine la cura delle relazioni con il livello decanale, in particolare con le Assemblee Sinodali Decanali.[1]
Significativa la scelta di proporre un percorso formativo e di accompagnamento per i nuovi Consigli.
L’avvio del cammino di preparazione ai ministeri istituiti
Punto particolarmente significativo del percorso che si va attuando in Diocesi è l’avvio nell’anno pastorale 2023-2024 del discernimento di candidati e della loro formazione per assumere i ministeri istituiti del Catechista, del Lettore e dell’Accolito.
Un primo gruppo di candidati ha frequentato il primo anno di formazione, attraverso incontri comuni in presenza e lezioni online. Si stanno realizzando momenti di conoscenza e formazione anche nelle comunità cristiane di provenienza dei candidati, così da far crescere la capacità di accoglienza di questi nuovi ministeri.
L’orientamento a identificare e a formare precise responsabilità – possibilmente costituite in équipe – per animare la vita e la missione della comunità cristiana è un sentiero che apre al futuro e può dare una migliore qualificazione a tutte le vocazioni che si pongono al servizio della Chiesa.
[1] Cfr. Per dare un volto alla Chiesa in missione. Direttorio per i Consigli di comunità pastorale e parrocchiali, Centro Ambrosiano, Milano 2024, pp. 45-54 (sez. D, nn. 32-36).
4 – Conclusioni e prospettive
Le decisioni che hanno orientato il cammino della Chiesa ambrosiana in questi anni si caratterizzano per l’avvio o la conferma di corresponsabilità per la missione secondo modalità in un certo senso inedite. In prospettiva sembra di poter dire che lo Spirito di Dio ha consentito di comprendere che la Chiesa dovrà vivere la pastorale di insieme, dovrà custodire ed esercitare la responsabilità per la missione e dovrà fare questo con il metodo sinodale.
La ricezione di queste indicazioni non è priva di problemi, lentezze, risposte critiche e inadempienze.
Ci sentiamo incoraggiati dallo Spirito del Signore – continuamente lo invochiamo – che mantiene viva la fiducia, motiva moltissime persone all’impegno generoso e lieto e fa emergere risorse e disponibilità inattese.
In questa terra, terra di santi e di futuro, la comunità cristiana si confronta con una società innovativa, operosa, aperta e insieme incerta, spaventata, disperata – di cui si sente parte – e, come il Concilio Vaticano II testimonia, prova simpatia per gli uomini e le donne di questo tempo e di questo luogo in cui convergono persone da ogni parte del mondo. Insieme con tutta la Chiesa italiana la comunità cristiana ambrosiana vive la fecondità del seme, del sale, del lievito perché si conferma e si riconosce come il tralcio unito alla vite che solo così può portare molto frutto, secondo la promessa e lo stile di Gesù.