«Il legame tra l’insofferenza per l’intollerabile e la fiducia nella grazia del Signore è l’argomento che permette di dire che abbiamo ragioni per sperare, per lottare, per pensare. Ci basta la grazia del Signore per non lasciarci cadere le braccia di fronte a una situazione per tanti aspetti intollerabile». Nella videointervista che pubblichiamo qui sotto, così l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, spiega l’ambivalenza del termine «basta» da lui utilizzato nel titolo della sua Proposta pastorale per l’anno 2024-2025 Basta. L’amore che salva e il male insopportabile.
La Proposta contiene una sorta di decalogo dei mali a cui dire «basta», ma non nel senso semplicistico di non esserne più disturbati… «Noi avvertiamo il dramma in cui vivono tanti popoli della terra… – puntualizza Delpini -. Vale la pena parlarne, non per evitare il disturbo, ma per credere che le parole possono incoraggiare il cammino verso il futuro. Diciamo basta non per dire che siamo stanchi, ma per dire che desideriamo fare tutto quello di cui siamo capaci per porre fine a questo».
Il prossimo anno pastorale vedrà l’introduzione della seconda edizione del Messale ambrosiano, l’avvio del Giubileo, la prosecuzione del Cammino sinodale… L’Arcivescovo tiene a «smontare l’idea che queste siano tutte cose da fare. Lo spirito con cui viverle si chiama docilità, lasciarsi condurre a sperimentare la gioia, la grazia, la fierezza di essere discepolo del Signore». Anche per questo nella Proposta si parla di un periodo “sabbatico”, individuato nel mese di gennaio… «Nella tradizione antica il Giubileo era il modo anche di porre fine allo sfruttamento della terra. Io vorrei incoraggiare tutti a trovare il modo di decongestionare il calendario e di vivere il tempo non per quello che ci affanniamo a fare, ma per la grazia che riceviamo».
Un ulteriore richiamo è quello alla dimensione comunitaria del sacramento della riconciliazione… «Questo sacramento si chiama così perché ricostruisce i rapporti, con Dio, con la Chiesa, dentro la comunità cristiana… La dimensione comunitaria ci fa dire che noi ci rendiamo conto dell’altezza della nostra vocazione, siamo convinti di poterla portare a compimento perché il Signore ci fa grazia e accogliamo questa grazia in una Chiesa capace di essere lieta, di essere profezia e di essere fiduciosa».