Originari della Mauritania, dall’antichità noti e venerati a Milano, erano definiti martiri “altrui”, perché di origine straniera. Un inno in loro onore, di sicura paternità ambrosiana, ci offre sul loro conto abbondanti informazioni. Nel commento al vangelo secondo Luca, parlando della parabola del granello di senapa e della forza che si sprigiona dal piccolo seme, Ambrogio esclama: “Un granello di senape sono i nostri martiri Felice e Nabore”, sottolineando l’energia di fede sprigionatasi dalla loro vita.
Nabore e Felice avevano ricevuto la fede a Milano, dove si trovavano come soldati dell’esercito imperiale nel IV secolo. Al sopravvenire della persecuzione, con tutta probabilità quella di Diocleziano del 303, si erano rivelati cristiani. Rinunciando alla milizia dell’imperatore, preferirono quella di Cristo. Vennero uccisi a Lodi, e da qui, dopo alcuni decenni, i loro corpi furono riportati a Milano in trionfo.
La traslazione avvenne sotto l’episcopato di Materno. Nei mosaici delle pareti di S. Vittore in Ciel d’oro sono raffigurati infatti, da un lato Ambrogio fra Protaso e Gervaso, e dall’altro Materno con i martiri Nabore e Felice. I resti dei due martiri si conservano nella basilica di S. Ambrogio, in un sarcofago posto al termine della navata destra dell’edificio.
I monaci di Vallombrosa festeggiano oggi la memoria del loro fondatore san Gualberto, morto nel 1073.
Santi Nabore e Felice, martiri
Venerdì della settimana della VII Domenica dopo Pentecoste