«Sorridete, pregate, ascoltate e consolate». Sono queste alcune delle «indicazioni per una grammatica dei rapporti familiari» che l’Arcivescovo lascia ai tanti nonni e nonne riuniti della parrocchia di San Gregorio Magno per l’ormai tradizionale incontro conclusivo delle attività svolte nell’anno pastorale, quest’anno intitolato, “I nonni nella Chiesa e nella società”. Appuntamento atteso, che si inserisce nel percorso specificamente dedicato ai nonni da tre anni, e che vede la presenza, accanto al vescovo Mario, del vicario episcopale di Settore, monsignor Giuseppe Como, dei responsabili del Servizio per la Famiglia, don Massimiliano Sabbadini e i coniugi Maria e Paolo Zambon e del responsabile della Comunità pastorale “Madonna di Loreto” – cui appartiene “San Gregorio” -, don Renato Fantoni.
Le testimonianze
Apre la mattinata Marco Astuti, coordinatore della Commissione diocesana per la Pastorale dei nonni che parla di «fatica», ma anche della consapevolezza di «non poterci fermare».
Poi, le brevi testimonianze di Giovanni Borgonovo da 13 anni volontario dell’associazione “Portofranco” che aiuta ogni anno più di 1100 giovani difficoltà. «Solo in Lombardia sono a rischio oltre 30.000 ragazzi di cui oltre il 25% stranieri. “Portofranco” li aiuta a non perdersi e lo fa nella più totale gratuità, grazie al lavoro quotidiano di 350 volontari, di cui la maggioranza della nostra età», spiega.
Annamaria e Giuseppe Rossi, nonni di 5 nipoti, illustrano l’idea maturata proprio nella parrocchia di San Gregorio. «Ormai il Gruppo Nonni qui è decollato, ma occorre pensare a prospettive future». Da qui la scelta di essere presenti, dal prossimo settembre, ad alcuni incontri dell’iniziazione cristiana dei nipoti sostenendone l’intero cammino.
Si prosegue con i nonni definiti «della solidarietà», in ospedale per accompagnare i malati con l’associazione “Sottovoce”, la cui presidente Claudia Gariboldi, sottolinea. «Il nostro nome già dice uno stile di accompagnamento discreto e semplice. Fondati da Umberto Veronesi, siamo attivi da 26 anni all’IEO e all’ospedale cardiologico “Monzino” con un 70% di anziani come volontari».
Emilio Frascoli, stella al merito del lavoro narra della sua esperienza nelle scuole per aiutare gli studenti delle Superiori a scoprire il valore del lavoro, mentre Gianfranco Rubisse, dell’Emporio della Solidarietà di San Giuliano Milanese, conclude la serie delle testimonianze, raccontando come nell’Emporio su siano armonizzati due gruppi di volontari, quello dei giovani e quello formato da una quindicina di anziani.
Le risposte dell’Arcivescovo
Arriva così la prima domanda rivolta all’Arcivescovo. «Vorremmo vivere la parrocchia come una casa, non come una “stazione di servizio”, come lei ci ha detto a Mesero nell’incontro dell’anno scorso. Quali passi fare in questa direzione?»
Chiarissima la risposta, dopo i ringraziamenti per la nutrita presenza e il tanto lavoro fatto dal Servizio e dalla Commissione, con incontri e la produzione di sussidi e sostegni per la preghiera.
«La nostra società diventa vecchia e la rilevazione dell’incremento delle persone anziane è vista come un problema, ma noi vogliamo dimostrare che si tratta di un incremento di risorse. I nonni non sono solo i destinatari di attenzione e cure, ma i protagonisti del bene che si può fare. Infatti, possono fare tanto bene. La pastorale dei nonni è un dovere della comunità cristiana per non condannare gli anziani a una sorta di inutilità. Le relazioni familiari sono molto importanti, anche se possono essere assai diverse tra loro», avverte monsignor Delpini. «Talvolta le famiglie sono lontane dai nonni, a volte vicine, a volte ci sono rapporti belli e altri difficili, quasi vissuti con fastidio. Una grammatica delle situazioni familiari non esiste in modo definitivo, perché tante sono le differenze, ma la sapienza deve permettere di saper discernere cosa si può fare. Io penso che la parrocchia sia un’istituzione che offre spazi per essere un luogo in cui agire, ma bisogna frequentarla nella Messa domenicale, nell’oratorio feriale dove – e qui il vescovo Mario si rivolge direttamente ai nonni- potete svolgere molti servizi organizzativi e logistici, indicando in questo modo una possibilità di relazione come nel catechismo o nel doposcuola».
Una “regola di vita” per i nonni
Emergono così, nella riflessione dell’Arcivescovo, gli aspetti di una dimensione familiare da vivere in parrocchia, ma soprattutto in casa, come richiama lo stesso vescovo Mario in riferimento alla “Regola di vita per i nonni” che distribuisce in ogni sua Visita pastorale ai Decanati.
«Voi potete fare molto e, anche quando le condizioni di salute non lo permettono, sempre si può pregare, qualcosa di troppo dimenticato oggi. Si può sempre sorridere con un tratto di serenità, dire una parola buona, dare un consiglio, ascoltare. Questa può essere una prima grammatica delle relazioni. Ci vuole equilibrio tra sollecitudine e discrezione: siate pronti dire, ma anche a tacere, a fare, ma anche a lasciar fare, a insegnare, ma anche a testimoniare in silenzio».
«Raccontate le tradizioni e la storia delle vostre famiglie, per rimediare al rischio che si perda la memoria. Ad esempio, il 25 aprile nel mio paese – spiega l’Arcivescovo – quando chi è stato in guerra e ha vissuto la resistenza ha raccontato ai giovani cosa sia successo allora. I nonni sono chiamati a vivere tutto questo anche come un imparare cose che, forse, quando erano genitori, non sono riusciti a cogliere per i tanti impegni del lavoro. Potete provare lo stupore della vita ed esercitare l’arte di consolare».
Infine, altre domande relative a come si possa essere «testimoni della speranza» e a «come gestire la nostra fragilità affinché contribuisca sia a farci acquisire la sapienza che dovrebbe caratterizzarci», chiedono due nonne.
La speranza e la spiritualità
«La parola speranza viene spesso fraintesa – scandisce l’Arcivescovo -, essendo considerata come un’aspettativa fondata per lo più su ciò che uno sa di sé e della sua situazione. Invece la speranza, nella prospettiva cristiana, è il modo in cui si accoglie una promessa, quella di Dio in cui crediamo. La speranza è viva perché ascoltiamo questa promessa che è sempre anche una vocazione. La speranza vuole dire pregare e ascoltare quello che il Signore ci dice. Speranza significa gratuità, che è cosa più profonda del risultato e dell’ applauso.
Insomma, occorre essere liberi dall’esito, «dalla gratificazione per ciò che si fa» attraverso «una speranza che si tiene viva anche come capacità di essere sorprendenti.
«Scrivete una lettera ai vostri nipoti per dire quello che avete da dire, pregate per i morti, invitando a pregare perché crediamo che i morti non sono spariti nel nulla come vuole la società contemporanea. Vivete di fiducia».
E ancora. «Dovete abitare la solitudine senza vittimismo e risentimenti, senza pretese, imparando a stare bene anche da soli. Bisogna avere la sapienza che occupa il vuoto con il bene, non cercando solo distrazioni. Le testimonianze ci hanno detto quanto bene si può fare, ma si deve anche pensare a ciò che piace, a leggere, a coltivare hobbies buoni, a sviluppare i rapporti con chi sta peggio di noi, a imparare cose nuove come propone l’Università della Terza Età».
«Scrivere il testamento è un’arte difficile, è cosa impegnativa e importante, ma è necessario per trovare un equilibrio in famiglia. Esercitatevi nell’arte delle occasioni, cogliendole, passando dalla chiacchiera alla parola, che permette di pensare e di arricchire gli altri di quanto ha arricchito la nostra vita».
E dopo la brillante performance a sorpresa del nonno-attore comico Carlo Rossi, e la benedizione c’è ancora tempo per il saluto portato personalmente dal vescovo Mario a tutti i presenti attraverso una stretta di mano, lo scambio di qualche parola e la consegna di un’immaginetta ricordo.