La cura e la sollecitudine del Pastore – l’Arcivescovo – per il suo gregge; l’ultima tappa del percorso annuale dedicato all’identità degli insegnanti di religione cattolica e la speranza dell’imminente concorso che potrebbe portare a migliorare la posizione contrattuale di ciascuno.
Sono tanti e diversi i motivi per cui l’incontro del “mondo” Irc con il vescovo Mario è occasione di emozione e della massiccia partecipazione di questi insegnanti – oltre 1500 – all’appuntamento che si realizza in Duomo, prima in un confronto con alcune voci autorevoli del mondo della scuola e con l’intervento di monsignor Delpini e, poi, con la Messa da lui presieduta nella celebrazione vigiliare di Pentecoste.
Aperto dal responsabile del Servizio diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica, don Gian Battista Rota, presenti il vicario episcopale di Settore, monsignor Giuseppe Como e il responsabile del Servizio per la Pastorale Scolastica, don Fabio Landi, il momento dialogico vede gli interventi di Ernesto Diaco, responsabile nazionale dell’Insegnamento della Religione Cattolica, centrato sull’appartenenza ecclesiale e quello più tecnico di Nicola Incampo, uno dei maggiori esperti della giurisdizione che norma l’insegnamento della religione in Italia e responsabile Irc per la Basilicata. Non mancano, nelle prime file, i docenti andati negli ultimi 2 anni in pensione e alte autorità scolastiche, quali il provveditore della Lombardia, Luciana Volta, il direttore dell’Ufficio scolastico di Milano e Città metropolitana, Letizia Affatato, e i loro collaboratori.
La grazia di formare alla libertà
Dalla pagina del Libro biblico dei Giudici 6 con «la mano di Madian che si fece pesante contro Israele» e con Gedeone a cui il Signore dice: «Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti come se fossero un uomo solo», si avvia la riflessione del vescovo Mario. «Il mandato a insegnare religione è anche un atto giuridico, ma vorrei che fosse inteso come un’annunciazione, come una parola che riconosce in ciascuno la vocazione a cambiare la storia del contesto in cui vive», dove l’impressione «di essere frustrati in una situazione troppo complessa, impaurita, viene guarita da un compito che offre percorsi promettenti».
«Nella desolazione di un senso di impotenza irrompe un’annunciazione che risveglia la consapevolezza del proprio valore e l’altezza della propria missione», scandisce ancora l’Arcivescovo. È questa la «grazia» che rende possibile mettersi a servizio della liberazione degli altri, anche nel contesto dell’insegnamento.
«La missione del docente in genere, e quella dell’insegnante di religione cattolica in specie, può essere anche definita come quella dell’angelo dell’annunciazione che risveglia il giovane scoraggiato e lo aiuta a riscoprire il suo valore, la sua vocazione, la sua missione, anche se l’opera educativa conosce difficoltà e complessità specifiche in questo tempo, sia per la burocratizzazione che intrappola la funzione docente, sia per i tratti che caratterizzano la popolazione studentesca».
Insomma, suggerisce l’Arcivescovo, siamo un una situazione complicata, ma in questa “oppressione di Madian” si può comunque seminare speranza, «insegnando religione e dicendo ai ragazzi di liberare le loro potenzialità».
«L’insegnante di religione è un professionista serio che deve esercitare l’insegnamento non solo comunicando contenuti, ma esercitando una libertà. Voi avete ricevuto un’annunciazione, siate un angelo del Signore per offrirla ai giovani che siete chiamati a educare».
L’appartenenza alla Chiesa
Poi, una seconda indicazione: l’appartenenza. «Questo incontrarci straordinario e le forme più ordinarie di incontro, intendono mettere in evidenza lo specifico statuto degli IDR nella loro appartenenza alla Chiesa. Conseguita l’idoneità diocesana, il conferimento dell’incarico a insegnare religione cattolica è un atto di fiducia che il Vescovo esprime attraverso l’Ufficio Irc e diventa una proposta di alleanza. Non si tratta di una professione che ciascuno esercita in proprio, anche se la professionalità e la responsabilità personali sono decisive; non si tratta solo di un lavoro dipendente che comporta prestazioni e stipendi, anche se il professore è un lavoratore portatore di diritti e richiesto di doveri: si tratta di un mandato che il Vescovo affida quando ce ne siano le condizioni e che impegna l’insegnante a una coerenza di vita e a una relazione ecclesiale e impegna il Vescovo a garantire il posto di lavoro e la difesa dei diritti nei rapporti con l’Ente pubblico».
Il pensiero va all’attesissimo concorso, il cui Decreto è stato pubblicato, dopo una lunga attesa, il 5 marzo scorso.
«In particolare in questa preparazione al concorso, che spero sarà tempestivamente anche pubblicato con il suo bando e le sue scadenze, ritengo importante che l’Ufficio di curia, i docenti, i sindacati si sentano alleati per la preparazione e l’incoraggiamento perché questa occasione, dovuta da molti anni, produca i risultati sperabili sia per la qualifica professionale, sia per le aspettative».
Programmare la formazione a livello decanale
Il terzo richiamo è alla formazione, evidenziata anche dal dono a ognuno dei partecipanti del sussidio a cura di don Rota, Formazione degli insegnanti di religione cattolica.
«Per la cura della professionalità dell’insegnante, inserito per mandato nella relazione ecclesiale, è doveroso coinvolgersi nella proposta formativa. In particolare, la formazione specifica offerta dall’Ufficio diocesano deve manifestare la cura di cui la Diocesi si fa carico per incrementare la competenza degli IDR e, insieme, evidenziarne l’appartenenza ecclesiale. Per questo, con un’importante novità sottolineata anche da don Rota, «si introduce la novità di programmare l’incontro dei gruppi territoriali per la formazione secondo la configurazione dei Decanati che potrebbe rendere più significativo il rapporto con la comunità e, quindi, con la forma della presenza della comunità cristiana nel territorio, invece che secondo le suddivisioni dell’organizzazione civile».
Fare i conti con il cambiamento
«Dai bambini ai giovani emerge l’emergenza di incontrare la vita, la più potente forza di educazione, come diceva Romano Guardini», spiega, da parte sua, Diaco.
«Siamo credibili se siamo coinvolti e questa è una grande fortuna per noi insegnanti, perché veniamo trasformati e arricchiti non meno di coloro che desideriamo educare. Da tutti punti di vista, anche giuridico, l’Irc risponde a un patto tra scuola e Chiesa e l’insegnante risponde a questa alleanza, rendendola concreta e possibile e favorendo la formazione integrale della persona. Anche se vi sono incomprensioni, mostrare la valenza umanizzante della fede, il suo potenziale di umanizzazione nella scuole – e il farlo non da soli, assicurando a ognuno di poter essere e diventare pienamente uomo – è una garanzia per le famiglie e anche per la laicità dello Stato. La doppia appartenenza alla scuola e alla Chiesa è fondamentale per la professionalità degli insegnanti. Appartenere alla Chiesa è qualcosa di dinamico, è una relazione viva e alimenta la sintesi tra fede, storia e cultura», come scrivevano i Vescovi italiani nella famosa nota del 1991, resa pubblica proprio nella Pentecoste del 1991.
Mandati dalla Chiesa
«Di questa partecipazione, un aspetto importante è portare nei luoghi della vita quotidiana l’esperienza vissuta nella scuola. La comunità ecclesiale può ricevere molto dall’Irc, ma non può essere un’alleanza a senso unico perché con gli insegnanti in aula entra tutta la comunità».
Altro tratto, indicato da Diaco, è la capacita di fare i conti con il cambiamento e non cedere mai alla tentazione di pensare «che il nostro lavoro sia inutile o sprecato, trovando nella fede e cultura nuova spinta».
«Noi siamo i mandati dalla Chiesa» – sottolinea Incampo nel suo intervento basato su una rivisitazione della legislazione passata e presente – ed è possibile essere mandati solo se si è in comunione con la Chiesa. La nostra fortuna è avere una Chiesa vicino a noi. Di ruolo o non di ruolo, l’insegnante di religione deve testimoniare quello che dice».
Infine, introducendo la professione di fede con la recita corale del Credo Niceno-Costantinopolitano, monsignor Como nota. «Questo è un testo che narra la storia di una ricerca indefessa della verità, dello sforzo di chiarificazione della fede che i nostri padri hanno fatto. Dietro questo Credo ci sono notti insonni, testimonianze di martiri che hanno dato la vita, tutto l’amore dei cristiani per il Signore come si è rivelato in Gesù. Il mio sogno è che noi, recitandolo, ci sentiamo dentro questa tradizione che è viva, che passa anche tra noi: una storia che ha radici lontane, fatta di donne e uomini che hanno vissuto la fede e hanno cercato di chiarirla agli altri».
E prima della benedizione finale, vi è spazio anche per un gesto simbolico, il saluto da parte dell’Arcivescovo e la consegna di un dono, da lui personalmente pensato, a uno a uno degli insegnanti che sono andati in pensione negli ultimi 2 anni.