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Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Testimonianza

«Grazie allo sport, ora guardo al carcere in modo diverso»

Alessandro Raimondi, dirigente Csi e allenatore di pallavolo nella casa circondariale di Monza, è tra i 26 tecnici che il 17 maggio incontreranno l’Arcivescovo prima della Messa in Sant’Ambrogio che a Milano avvierà le celebrazioni degli 80 anni dell’ente di promozione sportiva

di Mauro COLOMBO

16 Maggio 2024
Alessandro Raimondi (terzo da destra) con tutto gli istruttori sportivi del carcere di Monza

«Di carcere non sapevo nulla. Condizionato da certi filoni letterari e cinematografici, lo consideravo un luogo ricco di insidie e pericoli… Ma grazie a questa esperienza ora vedo le cose in modo diverso». Alessandro Raimondi, 62 anni, marito e padre di famiglia, direttore di una cooperativa che opera nel settore abitativo a Cernusco sul Naviglio, è uno degli allenatori del Csi Milano istruttori sportivi in carcere. Ed è tra i 26 tecnici che venerdì 17 maggio incontreranno l’Arcivescovo prima della Messa nella Basilica di Sant’Ambrogio che a Milano avvierà le celebrazioni degli 80 anni dell’ente di promozione sportiva.

Oratorio e sport sono presenti da sempre nella vita di Raimondi. È impegnato nella pallavolo da quando aveva 15 anni, all’inizio in ambito federale, poi come fondatore e presidente dell’Aso Cernusco sul Naviglio, prima società oratoriana a contare 1500 tesserati. Da consigliere provinciale e membro del Comitato di presidenza del Csi Milano, si è fatto carico del volley nel contesto del “progetto carcere” che il sodalizio sviluppa da anni. «Ho svolto attività per un anno a San Vittore – racconta -. Non è stato facile, perché lì la popolazione carceraria si rinnova costantemente e non puoi lavorare con un gruppo fisso di persone. Inoltre ci sono molti stranieri, anche la lingua è un ostacolo».

Situazione più semplice al carcere di Monza, dove Raimondi si reca da due anni nel Reparto Luce: i detenuti devono scontare lunghe pene e questo consente di impostare un lavoro a più ampio raggio. «Nel Reparto si svolge un’importante attività di riabilitazione – aggiunge -. Quasi tutti i detenuti lavorano, alcuni anche all’esterno. Il clima è sereno e facilita il nostro compito». Che si articola in un paio di ore alla settimana, il sabato mattina, con una dozzina di persone, dai più giovani agli ultrasessantenni. «Non sono solo – precisa Raimondi -. Mi affiancano Francesco Fanelli e le sue due figlie, così ci alterniamo e quindi non saltiamo neppure una settimana, anche nei periodi di festa. Poi c’è il supporto di Lucia Teormino nelle relazioni con le istituzioni carcerarie, impegnative e delicate. Perché tutto questo si realizza grazie alla collaborazione della direzione carceraria e della polizia penitenziaria».

Negli allenamenti si parte dai fondamentali e si arriva a disputare partite amichevoli con squadre del Csi provenienti dall’esterno: circostanze in cui una sensazione di “libertà” contagia un po’ tutti. Naturalmente, oltre alla dimestichezza con battute e schiacciate, cresce anche il rapporto personale con i detenuti. «Si instaura una relazione via via più confidenziale – conferma Raimondi -. Ci parlano delle loro storie, delle loro famiglie, dei reati che hanno commesso… Ci sono momenti scherzosi, goliardici, altri più profondi e commoventi. Ci si confronta, si instaurano amicizie». Ed ecco farsi strada quella nuova consapevolezza a cui Raimondi accennava all’inizio: «Ho incontrato molta povertà: quella di chi delinque per mettere qualcosa in tavola per la famiglia, quella di stranieri catapultati a Milano senza sapere cosa fare… Certo, ci sono anche persone segnate da un intenso passato criminale. Sotto una scorza apparentemente dura ne intravedi le debolezze: fanno i conti con i loro errori e provano a rimettersi in gioco». Tra molte difficoltà. «Da quando lo frequento, fatico a cogliere l’aspetto rieducativo del carcere nel suo complesso – confessa Raimondi -. Forse in qualche reparto funziona, in altri meno, anche per via del sovraffollamento. A fronte del desiderio di riscatto, in molti detenuti affiora la convinzione che fuori non ci sarà nessuno disposto a dar loro una mano e, ancora peggio, il timore di essere nuovamente coinvolti in ambienti delinquenziali».

In ogni caso oggi Raimondi “rilegge” più in profondità aspetti della vita che prima dava per scontati: «Mia moglie mi ha accompagnato qualche volta in carcere e, per il clima di convivialità che ha incontrato, ha ammesso che le sembrava di stare in oratorio… Il carcere per me è diventato un tema di abituale conversazione e ha cambiato il mio modo di essere in famiglia, sul luogo di lavoro e nella mia comunità».

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