Da Il Segno di maggio
Accedere al mercato del lavoro non è facile e per quanti l’hanno perso o provengono da situazioni di particolare fragilità il pericolo di esclusione sociale è molto elevato. Sono persone lasciate ai margini quando ancora potrebbero contribuire alla collettività e sentirsi valorizzati.
Nel tentativo di contrastare questo fenomeno, dal 2017 Caritas ambrosiana ha attivato con la Diocesi di Milano il Fondo Diamo Lavoro (“erede” del Fondo Famiglia Lavoro voluto nel 2008 dal cardinale Dionigi Tettamanzi). Si tratta di uno strumento di politica attiva che, attraverso la formazione professionale e tirocini in azienda della durata da tre a sei mesi, cerca di favorire l’inserimento lavorativo delle persone.
Dal punto di vista sociale, il quadro è assai variegato: secondo gli ultimi dati a tutto il 2023, dei 1.332 soggetti che hanno svolto il tirocinio (di cui il 42% assunti), il 53% erano donne e il 47% uomini. Di questi, il 44% ha meno di 34 anni, il 41% tra i 35 e i 54 e il 15% sopra i 55. Il 56% sono italiani e il 44% stranieri.
È la stessa Caritas ambrosiana grazie al Servizio Siloe e a Fondazione San Carlo a coprire i costi di formazione e tirocinio presso le aziende aderenti: al 2023 erano 1.849 in tutto il territorio diocesano.
«In genere la risposta delle imprese è abbastanza positiva. Questo non necessariamente si traduce in una prosecuzione del rapporto di lavoro, ma può essere positivo per il percorso che viene fatto in termini di aumento delle competenze», dichiara Corrado Mosele, direttore Risorse umane, formazione e studi di Unione Confcommercio Milano, Lodi e Monza Brianza.
Se si guarda alla disponibilità delle aziende, «dipende molto dalla sensibilità dell’imprenditore, dato che alla componente lavorativa si unisce quella sociale».
«Milano è più difficile da mappare perché sede di imprese dove il rapporto spesso non è con l’imprenditore, ma con la struttura operativa della stessa – spiega Mosele -. In alcuni territori, ad esempio quello di Monza Brianza, la risposta è stata molto interessante con aziende che avevano già nelle loro corde questo tipo di attività».
Non mancano i problemi nell’associare i candidati alle aziende. Tra questi, «la barriera linguistica è rilevante non solo per il dialogo all’interno dell’impresa, ma anche nel confronto con i clienti», afferma Mosele sottolineando l’importanza di «coordinare le diverse linee di assistenza e inclusione sociale per evitare sovrapposizioni e semplificare il compito degli imprenditori».
Dietro a una risposta sostanzialmente positiva dal mondo delle imprese, ci sono storie che parlano di fatica, di fallimenti, di voglia di ricominciare e intraprendenza.
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