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Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Milano

«Spiritualità e medicina concorrono alla cura integrale della persona»

All’Istituto nazionale dei Tumori un convegno ha affrontato il tema dell’evoluzione della Pastorale della salute alla luce del dettato costituzionale. La riflessione dell’Arcivescovo seguita dagli interventi di dirigenti sanitari ed esponenti istituzionali

di Annamaria BRACCINI

24 Aprile 2024

«L’antico ancestrale pregiudizio che stabilisce un rapporto di causa-effetto tra il peccato e la malattia». Pregiudizio che non si riesce a sradicare con una correlazione che dice di una visione della malattia sbagliata, «contraria alla visione cristiana della vicenda umana, perché non è vero che un corpo malato sia l’esito di una colpa». Parte dalla pagina del Vangelo di Giovanni 9 – Gesù che guarisce il cieco – l’intervento dell’Arcivescovo al convegno «Valori costituzionali ed evoluzione della Pastorale della salute», nell’Aula magna dell’Istituto Nazionale dei Tumori. Un evento promosso da Conferenza Episcopale Lombarda – le conclusioni sono affidate a monsignor Maurizio Gervasoni, Vescovo di Vigevano e delegato Cel per la Pastorale del Lavoro, per la Pastorale Sociale e la Formazione sociopolitica -, Regione Lombardia, lo stesso Ircss e la Pontificia Accademia Pro Vita. 

«Contro il pregiudizio moderno che dice che “l’importante è la salute”, Gesù rivela che il bene dell’uomo non è solo un corpo sano, ma è vivere di una speranza, di una visione della vita meno banale di quella che insegue la salute a ogni costo e pretende la guarigione anche oltre il possibile», aggiunge monsignor Delpini, che affronta i temi dell’incontro anche nella sua veste di Metropolita di Lombardia. La vicenda del cieco, guarito, ma cacciato dal tempio e invitato da Gesù stesso a riconoscerlo come il Signore, «indica un cammino di speranza e una premessa interessante. L’esito della vita umana non è il nulla, infatti, ma una vita felice da risorti con Gesù risorto. Nel cuore dell’uomo abita una sete di vita vera e buona e questo desiderio è anche dentro il cammino terapeutico. Occorre far sì che questa speranza dia motivo per amare la vita, per cercare la guarigione, comprendendone tuttavia la relatività».

E se «è un’ipotesi scientifica che ha trovato ormai un riscontro oggettivo il fatto che spiritualità e cura medica sono correlate e il cappellano non è parallelo al medico, ma entrambi si occupano della persona integrale», si tratta di interrogarsi in profondità proprio sul tema arduo proposto dal convegno. Anche perché, come scandisce, «spiritualità e salute non sono due prodotti che si vendono in negozi diversi: l’ospedale e il tempio. Si tratta invece di un realistico prendersi cura della persona, questo mistero meraviglioso e complesso che supera ogni schema riduttivo e ogni anatomia positivistica per essere gemito e invocazione verso una vita buona e felice».

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Un bisogno di infinito

Moderato dai giornalisti di Avvenire Francesco Ognibene (che ringrazia il cappellano don Tullio Proserpio, anima dell’iniziativa) e del Corriere Luigi Ripamonti, alla presenza tra gli altri, del vicario episcopale monsignor Luca Bressan (anche relatore) e di don Paolo Fontana, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della Salute -, l’incontro ha visto l’intervento di Raffaele Cattaneo, sottosegretario di Regione Lombardia con delega alle relazioni internazionali, che ha portato il saluto del presidente Attilio Fontana: «Oggi spiritualità è una parola desueta – osserva -, ma non c’è niente più della malattia per farci scoprire una dimensione, un grido che si esprime nella richiesta dell’umanizzazione delle cure. L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” e non solo un’assenza di malattia: la spiritualità deve essere dentro questa dinamica. L’uomo è un’attesa infinita che nulla può soddisfare e all’uomo bisogna dare una compagnia che risponda al suo bisogno infinito».

L’intervento di Gustavo Galmozzi

Di un tema impegnativo parla anche il presidente della Fondazione Ircss Istituto dei Tumori, Gustavo Galmozzi nel suo articolato e appassionato intervento: «Sappiamo che l’infinito è dentro noi e la spiritualità significa, anzitutto, entrare in relazione con se stessi. La spiritualità, gioca un ruolo estremamente importante nel modo in cui i malati affrontano la malattia e il dolore. L’assistenza spirituale nei piani di cura, nel totale rispetto dei pazienti, è da incentivare. Cercare l’infinito in noi, sostenendo un’unità della vita e della morte in una dimensione superiore, permette a noi che lavoriamo qui di affrontare il tema della finitudine umana e, insieme, dell’unicità di ciascuno di noi».

L’intervento da remoto di Renato Balduzzi

A posto solo sulla carta?

Particolarmente interessante, per i rapporti tra democrazia, Costituzione e sanità, la comunicazione, da remoto, di Renato Balduzzi, già ministro della Salute e docente di Diritto costituzionale in Cattolica: «È dimostrabile che alcuni nostri Costituenti intervennero sui temi della salute in modo negativo relativamente a quello che sarebbe poi diventato il 32° articolo: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Il problema fu nel riuscire a capire che la sfida del futuro era quella di dare nerbo alla novità della dimensione soggettiva della salute. La dichiarazione di voto decisiva venne da Giulio Andreotti. Noi abbiamo oggi norme sulla salute, sulla gestione a livello regionale – che è quello ottimale per organizzare i servizi -, la codificazione dei livelli di assistenza, e siamo gli unici ad averlo fatto. Ma, allora, perché siamo così in sofferenza nel Servizio Sanitario Nazionale, perché stiamo assistendo alla sua destrutturazione?», si chiede Balduzzi. Come a dire «siamo a posto sulla carta, ma solo sulla carta». Il problema delle risorse – tema su cui poco prima si era soffermato Antonello Zangrandi, docente di Economia delle Aziende pubbliche – esiste, «ma non è il problema essenziale».

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Un patrimonio da conservare

Basti pensare ai 208 miliardi del Recovery fund, erogati perché siamo stati il Paese più colpito dalla pandemia: «Le risorse ci sono, basta farle fruttare. Ma questo implica l’organizzazione, che è cruciale e rimanda immediatamente al livello politico. Il punto vero è chi governa gli interessi e dare gambe e braccia alle risorse attraverso una costruzione armonica del sistema. La cura e il prendersi cura erano già all’interno del dibattito dell’Assemblea costituente e il Ssn è un grande promotore di giustizia, un vanto del sistema Italia, come disse nel discorso di fine anno 2019, il presidente Mattarella. È un patrimonio da preservare e potenziare contro chi invece lo vuole stravolgere e snaturare. Forse occorre aprire un dibattito nazionale su tutto questo che non potrà che avere tra i suoi temi quelli al centro del convegno».

Una domanda di senso

Da parte sua Massimo Reichlin, preside della Facoltà di filosofia dell’Università Vita Salute San Raffaele, sottolinea: «La riflessione filosofica e anche teologica ci indica l’errore del dualismo tra anima e corpo, perché lo spirituale non si contrappone al materiale. La persona è corporeità dotata di una capacita di trascendenza con la “t” minuscola, ossia con la capacità della persona di sporgersi oltre, ponendosi domande sul senso dell’intero. Vi è, poi, una dimensione ulteriore della spiritualità, che Martin Buber definisce nell’apertura all’altro attraverso la relazione io-tu che costruisce una dimensione di comunità che non si può avere nel semplice rapporto soggetto-oggetto. In questo modo, l’umanità attesta una forma di trascendenza rispetto alla condizione materiale dell’essere al mondo. La persona è spirituale nella misura in cui partecipa a questa elaborazione che è essenzialmente ricerca collettiva di senso. Qui si collega anche il fatto religioso, perché ogni singolo tu è una breccia aperta sul tu eterno: Levinàs diceva che il volto dell’altro è ciò che ci consente di scorgere la traccia dell’infinito. Per questo la malattia è un’esperienza corporea, ma anche spirituale e bisogna, quindi, farsi carico della domanda di senso che può anche essere non necessariamente religiosa».

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