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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Anniversario

Papa Francesco, l’undicesimo anno di pontificato segnato dal dolore per le guerre

Dodici mesi scanditi da oltre 150 appelli per la «martoriata» Ucraina e più di 60 per un cessate il fuoco in Medio Oriente, accompagnati dall'invito ai capi delle Nazioni a «sforzi creativi» per una «pace giusta e duratura» e al «coraggio del negoziato», sempre mossi dalla angoscia di vedere l'umanità attraversare «un'ora buia»

di Salvatore CERNUZIO

13 Marzo 2024
Papa Francesco

Da Vatican News

«Mi fa soffrire vedere i morti, ragazzi che non tornano. È dura…». Era esattamente un anno fa. Nel giorno in cui celebrava i dieci anni di pontificato, il Papa condivideva il suo intimo dolore, compartecipe di quello di migliaia di donne e madri nel mondo, in un podcast – il primo – con i media vaticani. Il pensiero era rivolto in particolare ai giovani morti sul terreno nella guerra di aggressione a quell’Ucraina definita da sempre e da subito «martoriata» o, talvolta, «martirizzata». Non uno stanco epiteto, come sobillato da alcune critiche svilenti, ma assillo continuo del supplizio a cui è sottoposto il popolo ucraino dal 24 febbraio 2022.

Il dolore di cui Francesco faceva partecipe il grande pubblico non è andato attenuandosi in questi dodici mesi dell’undicesimo anno di pontificato, ma anzi si è acuito davanti alle prospettive di espansione del conflitto in Est Europa – con il possibile invio di truppe europee e la minaccia di una risposta nucleare – e ancor di più da ottobre con l’irruzione dell’orrore in Terra Santa, a seguito dell’attacco terroristico di Hamas e la risposta militare israeliana che ha provocato in cinque mesi circa 31 mila morti. Un altro di quei «pezzi» che compongono il terzo conflitto globale in corso.

Preghiera silenziosa, dolore pubblico

Dinanzi a questo dolore, papa Francesco, capo della Chiesa universale e a 87 anni tra i Pontefici più longevi, prega nel silenzio della sua stanza, dove conserva icone, croci e altri oggetti rappresentativi dei territori feriti da cui provengono. A esso dà voce in ogni pronunciamento pubblico. Oltre 130 gli appelli che Jorge Mario Bergoglio ha espresso dal 13 marzo 2023 a oggi per l’Ucraina, più di 60 quelli per il Medio Oriente e la popolazione di Gaza.

Non c’è stato Angelus, Regina Caeli o udienza generale in cui il Papa abbia mancato il riferimento alla guerra, ribadito la vicinanza alle popolazioni colpite o invocato la pace e il coraggio del negoziato quale esercizio di saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e faccia cessare la «follia» della guerra.

Pace per la martoriata Ucraina

A volte sono stati appelli vigorosi – voluti pronunciare pure quando la voce, a causa di bronchiti o influenze ricorse più volte in questi mesi, non lo permetteva – o spesso brevi chiose, fugaci memorandum o campanelli d’allarme per non far subentrare l’abitudine o il cinismo per cui anche il dramma di un attacco missilistico su scuole e abitazioni è declassato a “notizia di aggiornamento”. La speranza di una pace giusta e duratura è stato ed è sempre l’unico sottofondo alle parole del Papa susseguitesi in questo undicesimo anno di pontificato, che vale la pena ripercorrere in tempi di rielaborazioni e strumentalizzazioni del suo pensiero o a fronte di accuse di «equivicinanza» che, come ha puntualizzato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, è sempre stato «lo stile» della Santa Sede.

Appelli di pace in Piazza San Pietro

L’appello all’Unione Europea

«Il Papa non rinuncia a cercare la pace, a sperare nella pace e a pregare per essa». Francesco lo diceva alle famiglie rifugiate giunte in Italia grazie ai corridoi umanitari, ricevute in udienza il 18 marzo dello scorso anno. E quattro giorni dopo, nell’udienza generale ricordava l’atto di consacrazione di Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria: «Non stanchiamoci di affidare la causa della pace alla Regina della pace», esortava, chiedendo di rinnovare ogni 25 marzo l’atto di consacrazione alla Madonna, «perché Lei, che è Madre, possa custodirci tutti nell’unità e nella pace». All’impegno spirituale il Pontefice ha sempre chiesto che corrisponda «un impegno coeso» politico e diplomatico, a partire dall’Unione Europea. Una sfida «molto complessa», evidenziava nell’udienza alla Comece, essendo i Paesi dell’UE «coinvolti in molteplici alleanze, interessi, strategie, una serie di forze che è difficile far convergere in un unico progetto» contro la guerra che, sottolineava nella stessa occasione, «non può e non deve più essere considerata come una soluzione dei conflitti».

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Il messaggio della Pacem in terris

Parole riverberate nella benedizione Urbi et Orbi di Pasqua, accompagnate dalla supplica che Dio apra i cuori dell’intera Comunità internazionale perché si adoperi a porre fine «a tutti i conflitti che insanguinano il mondo». Ai capi delle Nazioni Francesco si rivolgeva pure in occasione del 60.mo anniversario della Pacem in terris di San Giovanni XXIII (11 aprile 2023), chiedendo di farsi ispirare in progetti e decisioni da questa enciclica rivolta alla Chiesa e al mondo nel pieno della tensione tra i due blocchi della Guerra fredda. Un messaggio, quello di Papa Roncalli, attualissimo, come evidente nel seguente passaggio: «I rapporti tra le comunità politiche, come quelli tra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione, e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante».

Sforzi creativi di pace

«Dove sono gli sforzi creativi di pace?», ha domandato invece il Papa nell’Ungheria divenuta meta di rifugio di migliaia di profughi ucraini, durante il discorso alle autorità civili e politiche nel viaggio di aprile 2023. «Nel mondo in cui viviamo, tuttavia, la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra».

Non solo denunce, ma anche prospettive da parte del Papa che, sul volo di ritorno da Budapest, affermava ai giornalisti: «Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura. Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia. Questo non è facile». «A tutti interessa la strada della pace. Io sono disposto, sono disposto a fare tutto quello che si deve fare», aggiungeva il Pontefice, anticipando l’avvio di una missione che si sarebbe rivelata poi quella del cardinale Matteo Maria Zuppi come suo emissario a Kyiv, Mosca, Washington e Pechino.

Un mondo senza odio e senza armi

Una missione che è andata cristallizzandosi durante il suo stesso svolgimento, quella di Zuppi, assecondando il desiderio del Papa di uno sforzo anche per la «creatività». «Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo?», domandava Francesco nel discorso alle autorità a Lisbona, primo appuntamento del viaggio in Portogallo per la Gmg durante la quale ha incontrato un milione e mezzo di giovani. Quelli che, ha sottolineato nell’udienza generale del mercoledì successivo, hanno «mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi!».

L’ora buia della storia

Un sogno, questo del Papa, messo a dura prova dai fatti del 7 ottobre. L’espressione del volto era buia e la voce provata quando il Pontefice, nell’Angelus il giorno dopo gli attentati di Hamas, l’8 ottobre, deplorava la violenza «esplosa ancora più ferocemente» in Israele e dalla finestra del Palazzo Apostolico affermava: «Gli attacchi e le armi si fermino, per favore, e si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti. La guerra è una sconfitta: ogni guerra è una sconfitta!».

Il Papa in preghiera per l’umanità nel Santuario di Fatima

Sempre una sconfitta

«La guerra è una sconfitta», anche questo un leitmotiv ricorrente di questi ultimi mesi di pontificato. Per qualcuno un’espressione forse troppo ingenua, ma come poter definire una «vittoria» la morte in massa di migliaia di propri cittadini, il più delle volte civili innocenti? «Una catastrofe umanitaria»: così il Papa definiva già, dopo nemmeno dieci giorni dalla risposta armata di Israele, la situazione a Gaza: «Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro»

L’esortazione chiudeva l’udienza generale del 18 ottobre, in cui Francesco annunciava la giornata di digiuno e preghiera del 27 ottobre a San Pietro. Un momento di orazione e penitenza in «un’ora buia della storia». Un’ora che sembra durare un secolo e un buio che avvolge migliaia di persone, sottratte alle proprie terre, abitazioni o alla vita stessa. «No» è la sola risposta. «Dire “no” alla guerra, a ogni guerra, alla logica stessa della guerra, viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse», scandiva il Papa nell’Urbi et Orbi di Natale: «La gente, che non vuole armi ma pane, che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre».

Il coraggio del negoziato

E a questo «no» deve corrispondere un’azione concreta. Papa Francesco la suggeriva nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: «Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale».

 

 

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